Quale guerra per la Mesopotamia? L’Iraq deve scegliere tra l’Iran e gli Stati Uniti.

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Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Nel prossimo mese, dopo Eid-alAdha ( 21 agosto) l’Iraq si troverà di fronte ad un dilemma. La Corte Federale ha confermato i risultati del riconteggio a mano delle elezioni parlamentari di maggio : non ci sono cambiamenti significativi rispetto ai risultati precedentemente annunciati. Dopo la festività ( Eid-al-Hada), la coalizione irachena che riuscirà ad avere un numero di seggi parlamentari superiore a 165, dovrà scegliere il nome del nuovo capo del governo. Chiunque verrà scelto come Primo Ministro, che sia pro-Iran oppure a favore degli Stati Uniti o anche una figura neutrale, non riuscirà a salvare l’Iraq da serie conseguenze e da un futuro difficile. Se il nuovo governo applicherà le sanzioni all’Iran annunciate dal Primo Ministro ad interim Abadi,  si dovranno fare i conti con i disordini nel paese e un clima di insicurezza. Molti iracheni, inclusi alcuni gruppi armati,rifiuteranno quello che viene vissuto come un’interferenza americana e le stesse forze armate americane potrebbero facilmente trovarsi sotto attacco.  Se le sanzioni non verranno applicate, l’Iraq subirà sanzioni severe da parte degli USA,  andrebbero via dal paese le multinazionali e non sarebbe da escludere il ritorno dell’organizzazione terroristica ISIS ( ISIL o Daesh). Qualunque sia la  decisione che verrà presa, sicuramente avrà un grosso effetto sull’economia della Mesopotamia e forse anche sulla sua sicurezza.

Il governo iracheno viene normalmente formato in seguito ad un accordo tra uno o più gruppi che hanno il più alto numero di membri nel parlamento (MPs) e altri partiti iracheni ( sciiti, sunniti e curdi e di altre minoranze), che hanno una piccola rappresentanza (nel parlamento), che si uniscono a loro. La coalizione più grossa ha quindi il diritto di scegliere il futuro Primo Ministro entro un mese dalla formazione della coalizione di governo. I membri della coalizione decidono tra loro come distribuire il potere e i posti, non solo quello di Primo Ministro, ma anche del portavoce, del Presidente e gli altri posti chiave ( vice-presidenti, vice-ministri e i vari ruoli ministeriali nel governo).

L’ultima formazione che è stata ufficialmente annunciata è la coalizione composta da Sayroon (Moqtada al-Sadr) al-Nasr (Haidar Abadi), al-Hikma (Ammar al-Hakim) e al-Wataniya (Saleh al-Mutkaq). Questi gruppi sono ancora ben lontani dall’avere il numero di membri necessario alla formazione di un governo. Questo perciò significa che l’Iraq rischia di dover aspettare parecchi mesi prima di poter vedere un nuovo Primo Ministro al potere.

I confini tra Iraq e Iran si estendono per 1.458 km dallo Shatt al-Arab nel Golfo Persico al Kuh e-Dalanper (la triplice frontiera di Iraq, Iran e Turchia). Questi lunghi confini e il grande scambio commerciale tra i due paesi ( oltre 12 miliardi di dollari all’anno), rendono necessarie importanti relazioni strategiche tra Tehran e Baghdad. Inoltre, il volume del turismo religioso ( i pellegrini che visitano l’Imam Reda in Iran e molti altri santuari di profeti e Imam in Iraq) ha il suo peso sui  leaders dei due paesi nonostante le differenze politiche. Sebbene la maggioranza degli iracheni e degli iraniani sia sciita, i legami religiosi non impediscono l’indipendenza politica degli sciiti iracheni che sono arabi : il loro interesse nazionale prevale sull’identità religiosa.

Il Marjaiya di Najaf, guidato dalla più alta autorità religiosa in Mesopotamia ( e in tutto il mondo sciita), il Grande Ayatollah Sayyed Ali al-Sistani, di origine iraniana, non tollera le interferenze iraniane nelle politiche dell’Iraq. Alcuni esperti in analisi attribuiscono questo rifiuto alle differenze tra le scuole teologiche rivali di Najaf ( Iraq) e Qom (Iran), ma ci sono altri fattori più importanti, in particolare il desiderio di indipendenza del Marjaiya e la mano pesante dell’Iran quando ha a che fare con gli iracheni.  Il Marjaiya in Iraq ha preso una posizione ferma contro la scelta dell’Iran del Primo Ministro nel 2014, rifiutando di rinnovare il mandato di Nuri al-Maliki anche se la costituzione gli dava il diritto legale di diventare leader dell’Iraq come capo della coalizione più grossa  in parlamento.

Al-Maliki veniva chiamato da alcuni “ il dittatore sciita dell’Iraq”: si rifiutava infatti di condividere le decisioni strategiche da prendere con il suo governo e con i partiti che lo avevano aiutato a rimanere al potere, come era stato deciso prima della sua seconda nomina tra tutti i gruppi sciiti. Al-Maliki è stato accusato, a torto, di essere il responsabile dell’affermazione dell’ISIS e della sua occupazione di un terzo dell’Iraq nel 2014. In realtà, la Turchia e l’Arabia Saudita e anche il leader del Kurdistan Masood Barzani che definiva l’ISIS una “rivoluzione sunnita”, sostenevano il gruppo con lo scopo di dividere l’Iraq in tre stati. Nel 2014 gli Stati Uniti decisero di assistere all’espansione dell’ISIS e furono molto lenti nell’intervenire in aiuto del governo di Baghdad a differenza dell’ Iran che invece forniva armi e consiglieri sia a Baghdad che al Kurdistan. Gli USA intervennero soltanto quando l’ISIS non si fermò ai limiti del Kurdistan e si diresse verso la città di Kirkuk, ricca di petrolio.

Mi trovavo a Baghdad e a Najaf  quando il Generale iraniano Qassem Soleimani cercò con forza di imporre prima al-Maliki e poi l’ex-Premier Ibrahim al-Jaafari ma senza successo. Non era un conflitto religioso ma politico e Sayyed Sistani , inflessibile, si oppose agli sforzi iraniani  per decidere la leadership del paese.

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L’Iraq si trova in un vicolo cieco a causa delle sanzioni americane all’Iran. Qualunque Primo Ministro che accetti le sanzioni unilaterali all’Iran, verrà denigrato come burattino americano e avrà contro sia le forze politiche  a favore che quelle contro l’Iran della Mesopotamia. Infatti l’incauta mossa politica degli Stati Uniti di annunciare che resteranno nel paese “finchè necessario” nonostante la richiesta di Baghdad di ridurre il numero dei loro 5.000 militari, è una sfida diretta a tutti gli iracheni. Viene interpretata dalla gente comune con la quale ho parlato e da coloro che prendono le decisioni, a Baghdad come a Najaf, come l’espressione della volontà americana di imporre con la forza un Primo Ministro, in questo caso Haidar Abadi.

La leadership iraniana, prima di reagire tramite i suoi alleati locali, deve stare ferma e osservare da lontano quella che sarà la reazione degli  iracheni alla decisione americana di imporre un secondo mandato di Abadi .

Fonti nel governo iracheno dicono che “ il Primo Ministro ad interim ha cercato di convincere i leaders politici ad accettare la presenza delle forze militari americane in Iraq per un periodo indefinito.” Gli iracheni hanno capito che questo significa che c’è un accordo tra Abadi ( impaziente di essere al potere in un secondo mandato) e gli Stati Uniti ( ansiosi di vedere Abadi ancora al potere per opporsi all’Iran) affinchè le forze americane restino in Iraq anche se l’ISIS non controlla più le città e i villaggi dell’Iraq ( rimangono tracce dell’ISIS attraverso ribelli e fuorilegge che si sono dati alla macchia).

Parrebbe che Abadi e le forze americane non si rendano conto della presenza di un forte movimento tra la popolazione: queste forze hanno combattuto l’ISIS per più di quattro anni e sono pronte a combattere una lunga guerra di ribellione  alla presenza militare americana in Iraq senza neppure chiedere l’appoggio, l’aiuto o l’assistenza all’Iran. Ci sono molti gruppi che hanno combattuto contro l’ISIS e tra le file delle Unità di Mobilitazione Popolare (PMU) ma sono tornati nei loro partiti alla fine della guerra rifiutandosi di venire integrati nei ministeri dell’interno e della difesa.

La politica americana, orientata nella direzione sbagliata, (e non solo in Iraq) sta anche cercando di sponsorizzare un’alleanza tra Sayyed Moqtada al-Sadr e Haidar Abadi allo scopo di formare una coalizione con il maggior numero di membri del parlamento per poter scegliere il nuovo Primo Ministro. Alcuni esperti si spingono anche oltre, chiedendo a Washington di invitare Moqtada al-Sadr alla Casa Bianca per tenere l’Iraq lontano dall’Iran. Sembra che non capiscano che Sayyed Moqtada sarà a capo del primo gruppo che dichiarerà guerra alle forze americane in Iraq se queste decidono di stare a lungo in Mesopotamia e di imporre un leader all’Iraq. Abadi è inoltre incapace di controllare Moqtada che non aveva avuto problemi a mandare la sua banda nella “ Zona Verde” e invadere alcuni ministeri per “tirare le orecchie ad Abadi”e rimetterlo in riga. Moqtada inoltre aveva rinchiuso in un bagno, per due giorni, il vice-presidente, un membro del gruppo al-Sadr e altri membri del suo entourage ad al-Hannanah ( il quartier generale di Moqtada) a Najaf .

Fonti nell’entourage di Moqtada mi hanno detto : “ Sayyed Moqtada rifiuta l’applicazione di qualunque sanzione all’Iran concordata da Abadi e non accetterà un Primo Ministro che gira per la “zona verde” su un carro armato americano”.

Si dice che altre forze in Iraq stiano “ osservando da vicino i movimenti delle truppe americane in tutte le basi americane in Iraq “. “ Se hanno cattive intenzioni ( rimanere nel paese) interverremo per convincerli ad andarsene” ha detto una fonte irachena di alto livello che fa parte delle forze armate che hanno combattuto l’ISIS su gran parte del territorio dell’Iraq.

Nessun politico iracheno ha spiegato alla gente i vantaggi e gli svantaggi che possono derivare dall’applicazione delle sanzioni unilaterali americane all’Iran. Nessuno ha spiegato quali siano i rischi, quale sarebbe la reazione alle mosse americane e quale sarebbe il piano B se mai ce ne fosse uno. Chi compenserebbe l’enorme danno all’economia irachena che ne seguirebbe sia che queste sanzioni vengano accettate o rifiutate? Gli iracheni hanno sofferto per più di 11 anni a causa delle sanzioni americane nel periodo di Saddam e potrebbero non aver voglia di esserne di nuovo vittime. Ma dovrebbe essere la loro scelta, non quella di una sola persona, cioè Abadi – che infatti non ha ottenuto la maggioranza nelle elezioni parlamentari in nessuna provincia irachena.

In Iraq non c’è consenso politico sulle decisioni strategiche : la decisione unilaterale presa dal Primo Ministro ad-interim Haidar Abadi sulle sanzioni all’Iran necessita un’approvazione del parlamento , di modo che siano i rappresentanti del popolo iracheno ad assumersi la responsabilità di portare il paese verso un futuro sconosciuto. Il ministro degli esteri iracheno ha rifiutato la decisione unilaterale di Abadi e così ha fatto la maggioranza dei gruppi politici e i ministri del governo. Il vice presidente iracheno Nouri al-Maliki, il partito Da’wa di Abadi e molti altri hanno condannato l’azione del Primo Ministro contro l’Iran e in favore degli USA. Molti hanno detto apertamente che “ l’Iraq non farà di sicuro parte di un piano americano per colpire l’Iran”.

I gruppi sciiti non sono in armonia, molti non vogliono un secondo mandato di Abadi. Neppure   i gruppi sunniti sono d’accordo sul nuovo Presidente ( il governatore di Anbar Mohammad al-Halbusi oppure il vice presidente Usama al-Nujeifi). I curdi stanno aspettando di vedere chi formerà la coalizione più ampia prima di entrarvi e imporre le loro condizioni, perché saranno proprio loro quelli che faranno pendere l’ago della bilancia a favore o contro Abadi.

Il braccio di ferro tra l’Iran e gli Stati Uniti è in atto in tutto il Medio Oriente, in particolare in Siria, in Libano e in Iraq. Oggi, il generale iraniano Qassem Soleimani e l’inviato speciale del presidente americano Brett MacGurk stanno entrambi visitando le autorità irachene e i capi dei gruppi cercando di influenzare le decisioni. E’ cruciale per l’Iran come per gli Stati Uniti vedere un Primo Ministro che stia dalla loro parte e sembrano ambedue indifferenti alle conseguenze che la scelta di un campo o dell’altro avrebbe sugli iracheni.

Non è tanto un problema di avere un leader che abbia una visione,un progetto, ma di avere un leader pronto ad assumersi delle responsabilità pressoché impossibili. Bussa alle porte della Mesopotamia la scelta tra due guerre : un’altra guerra in Iraq (contro le forze americane) o una guerra economica ( contro l’Iran).

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