L’Iran agli iracheni: non attaccate le truppe americane a meno che non rifiutino di ritirarsi dopo la decisione del parlamento.

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

La dichiarazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump riguardante la sua intenzione a rimanere in Iraq per “ tenere d’occhio l’Iran, perché è un vero problema” ha scatenato una bufera  in Mesopotamia tra i politici e i gruppi locali,  determinati, a questo punto, a metter fine alla presenza americana nel paese. Molti di loro, irritati dalle affermazioni di Trump, dicono che “le truppe americane stanno deviando dalla missione iniziale di combattere il terrorismo, la ragione per cui avevano il permesso di stare in Iraq”. Il presidente iracheno Barham Saleh ha replicato che l’amministrazione americana non ha chiesto all’Iraq il permesso per le sue truppe di “tenere d’occhio l’Iran”. 

Le truppe americane sono state schierate in gran numero in Iraq a partire dal 2014  quando l’ISIS occupava un terzo del paese. L’amministrazione americana a quel tempo guidata dal presidente Obama, si tratteneva dal correre subito in aiuto al governo iracheno lasciando così spazio all’Iran per agire rapidamente mandando armi e consiglieri militari a Baghdad ed Erbil. La reazione americana, volutamente lenta, spingeva il Grande Ayatollah Sayyed Ali Sistani a invitare la popolazione a mobilitarsi, un’ azione che portò alla creazione delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF), chiamate Hashd al-Shaabi, che riuscirono a fermare l’avanzata dell’ISIS. 

In risposta alla richiesta irachena, inoltre, nasceva una sala operativa congiunta nella “ Zona Verde” di Baghdad in cui ancora oggi sono presenti ufficiali di alto rango russi, iraniani, iracheni e siriani che coordinano gli attacchi militari e condividono tutte le informazioni possibili riguardanti l’ubicazione dell’ISIS e i movimenti dei suoi militanti, delle sue cellule dormienti e dei suoi capi. 

Anche gli Stati Uniti proposero di effettuare operazioni di intelligence e attacchi aerei contro l’ISIS. Tuttavia, nel periodo in cui la minaccia dell’ISIS diminuiva, il numero dei soldati americani raddoppiava, passando da 5.200 a 11.000 secondo fonti interne al governo iracheno; alcuni addirittura sostengono che il numero reale sia maggiore, circa 34.000 militari americani distribuiti in 31 basi e posizioni, insieme alle truppe irachene. Non ci sono basi in cui ci siano esclusivamente militari americani. 

Le forze americane hanno ufficialmente base a Camp Victory nel perimetro dell’aeroporto di Baghdad, a Camp Al-Taji che si trova 25Km a nord di Baghdad, alla base aerea Balad  che è 64Km a nord di Baghdad, a Al-Habbaniyah Camp tra Ramadi e Fallujah, al Qay’yara Airfield 300Km a nord di Baghdad, alla base Kariz a Zummar Niniveh, alla base aerea Ayn al-Assad vicina a Baghdadi nella provincia di Anbar, alla base aerea Kirkuk al-Hurriya, nella base Bashur di Erbil, alla base di comando e controllo dell’aeroporto internazionale di Erbil, a Harir Shaqlawa Kurdistan a Erbil e a Atrush Field a Duhok. Le forze militari americane hanno costruito una nuova base aerea vicino ad al-Qaem al confine siro-iracheno e un’altra vicina a al-Rutbah a est di Ramadi e nei pressi del confine siriano. Le truppe americane sono presenti tra le forze di sicurezza irachene, soprattutto le unità dell’anti-terrorismo, in varie postazioni e campi. 

Trump ha visitato una di queste basi, Ayn al-Assad durante le festività di Natale e Capodanno. La sua inosservanza del protocollo nel corso di questa visita aveva creato scompiglio al punto che molti iracheni avevano chiesto al parlamento di espellere le truppe americane dall’Iraq. Le tre autorità irachene (primo ministro, presidente della repubblica e presidente del parlamento) si rifiutarono di incontrarlo nella zona americana della base. Per ragioni di sicurezza, il presidente degli Stati Uniti era stato obbligato a tenere segreta la sua visita ad un paese in cui lui ha migliaia di soldati mentre invece il ministro degli esteri iraniano Mohammad Jawad Zarif è stato in visita ufficiale in Iraq per ben 5 giorni incontrando le autorità a Baghdad, Najaf e Karbala.

Le organizzazioni irachene che hanno combattuto l’ISIS per anni e condividono con l’Iran l’obbiettivo di rifiutare l’egemonia americana nella regione, minacciavano di attaccare le truppe americane se non avessero lasciato immediatamente il paese. Ma fonti di informazione vicine a coloro che prendono le decisioni, riportano che “non si prevede che i gruppi iracheni attacchino subito le truppe americane”. 

“L’Iran ha chiesto a tutti i suoi amici in Iraq di astenersi dall’attaccare le forze americane e di armarsi di pazienza in attesa del giorno in cui si rifiuteranno di andar via dopo che il parlamento abbia approvato (se la approverà) una direttiva che chiede loro di tornare a casa. Se questo  dovesse accadere le truppe americane verrebbero considerate forze di occupazione per cui la resistenza irachena sarebbe legittimata a perseguire il suo obbiettivo” ha detto la fonte. 

Queste organizzazioni irachene tengono sotto controllo i movimenti delle truppe americane nel paese. Considerano l’amministrazione americana una fonte di guai per il paese e per la regione. La scorsa settimana le forze di sicurezza Hashd al-Shaabi hanno obbligato una pattuglia americana a tornare indietro impedendole di entrare a piedi nella città di Mosul; ritengono che gli Stati Uniti si stiano allontanando dallo spirito della loro missione,cioè di aiutarli a combattere il terrorismo, nel momento in cui pattugliano le città irachene per le loro personali esercitazioni. 

Hashd al-Shaabi serba rancore nei confronti delle forze americane perché lo hanno bombardato al confine tra Iraq e Siria causandogli molte vittime. Gli americani si sono ripetutamente scusati accusando Israele e promettendo che tali errori non si sarebbero ripetuti in futuro : temevano la reazione di Hashd ed erano preoccupati per le conseguenze che avrebbero potuto subire le truppe. 

Secondo le fonti irachene, al parlamento “ servono parecchi mesi per coordinare un’azione e la preparazione di una direttiva che chieda il ritiro delle forze americane dal paese. Si prevede che questa campagna sarà guidata dal leader sadrista Moqtada al-Sadr”. I gruppi sadristi sono temuti dagli Stati Uniti per la loro lunga storia di attacchi contro le truppe americane durante l’occupazione dell’Iraq tra il 2003 e il 2011. I principali responsabili degli attacchi e delle uccisioni erano i leader sadristi che oggi guidano i loro gruppi : Asaeb Ahl al-Haq, Kataeb al-Imam Ali e Harakat al-Nujaba. 

Dal 2003 al 2011 gli Stati Uniti si auto-dichiaravano forza d’occupazione. Oggi invece sono lì in seguito ad una richiesta ufficiale del governo centrale di Baghdad, quindi una loro partenza dovrebbe avvenire in seguito a una iniziativa parlamentare secondo l’articolo 61 della costituzione. 

L’Iraq vorrebbe evitare di avere gli Stati Uniti come nemici ma allo stesso tempo non vuole essere il loro suddito e subire la loro politica. Gli Stati Uniti mirano a far partire le loro truppe dalla Siria ( se i consiglieri guerrafondai di Trump glielo permetteranno) per schierarle in Iraq. 

Il governo iracheno vorrebbe evitare un confronto aggressivo con gli Stati Uniti e non cerca di avere Washington come nemica. Allo stesso tempo l’Iraq non vuole essere considerato remissivo ed essere preso sotto l’ala americana. Gli Stati Uniti vogliono ritirare le loro truppe dalla Siria se i guerrafondai attorno a Trump glielo permetteranno, per portarle in Iraq, una mossa che aumenterebbe il numero dei soldati nel paese e costituirebbe una ulteriore provocazione per gli iracheni. 

Al contempo l’Iraq coopera con l’Iran a tutti i livelli commerciali soprattutto in materia di energia. Washington vorrebbe impedire le vendite di petrolio iraniano e a questo proposito assicurarsi che l’Iraq non aiuti l’Iran e magari diventi ostile a Israele. 

E’ troppo tardi: i tre leader iracheni ( primo ministro, presidente della repubblica e presidente del parlamento) sono più vicini all’Iran che agli Stati Uniti. Tuttavia questi leader, diversamente da uno   come Nuri al-Maliki, per fare un esempio, non hanno dei trascorsi ostili nei confronti degli Stati Uniti. Trump comunque sbaglia se crede di poter piegare la Mesopotamia ai suoi desideri e farla diventare la piattaforma di un attacco all’Iran.

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