Dopo le minacce al presidente del parlamento Nabih Berri, verrà chiesto agli Stati Uniti di andarsene definitivamente dal Libano?

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Il quotidiano degli Emirati “ The National” – citando fonti a conoscenza  dei piani degli Stati Uniti – riferisce che Washington sta valutando la possibilità di imporre sanzioni al presidente sciita del parlamento libanese Nabih Berri e ad un certo numero di suoi finanziatori. Fonti molto ben informate e a conoscenza delle intenzioni del presidente del parlamento, dicono che “ un tale passo, sempre che sia veritiero e non una vuota minaccia, avrà come conseguenza la partenza, forzata, delle truppe americane dal  Libano, in particolare quelle che hanno il compito di addestrare l’esercito libanese e le forze di sicurezza con cui collaborano. Tale provvedimento sarà applicato anche a tutte le organizzazioni legate al governo americano e sarà varato dal parlamento libanese come risposta alle decisioni aggressive adottate dall’amministrazione americana.” 

Le fonti dicono che “ il presidente Nabih Berri non ha solo il sostegno del movimento AMAL, di Hezbollah e dei loro membri del parlamento e ministri, ma ha anche l’appoggio della maggioranza dei membri del parlamento libanese. Sono loro quelli che lo hanno eletto nel corso degli ultimi decenni. Pertanto, qualunque azione degli Stati Uniti che vada contro il presidente del parlamento o i sostenitori di AMAL in Libano, in Africa o in qualsiasi parte del mondo con lo scopo di colpire Berri indirettamente, incontrerà la stessa identica risposta decisa dal Libano contro la presenza degli Stati Uniti nel paese. Berri possiede un’ampia cerchia di amici tra i presidenti mussulmani dei parlamenti nei paesi del golfo e in quelli mussulmani dell’Africa, pronti a schierarsi con lui contro l’amministrazione americana. Diversamente dalla condanna, puramente a parole, espressa dagli stati arabi in occasione della decisione di Israele di annettersi le alture del Golan e Gerusalemme, in questo caso è prevista una reazione ben più dura e tangibile” .

“ Berri è uno sciita pragmatico, molto ben conosciuto dai diplomatici e dalle autorità politiche europee, americane e arabe. Nel caso l’amministrazione americana adottasse dei provvedimenti contro di lui, dovrà fare i conti con una legge parlamentare che permetterà all’Iran e alla Russia di collaborare con il Libano a livello militare, di scambio di informazioni sensibili e di sicurezza e stabilire delle basi militari nel paese. In seguito a questa mossa, le uniche istituzioni americane che potrebbero restare nel paese sarebbero l’ambasciata e l’università, nient’altro.” Così ha detto la fonte, sottolineando la serietà e la prontezza del presidente del parlamento a rispondere a qualunque decisione americana nei confronti suoi e del suo “entourage”. 

Con questa decisione, gli Stati Uniti non fanno altro che spingere il Libano verso l’instabilità a livello politico negli anni a venire. 

Ma il presidente del Libano Michel Aoun è andato ben oltre Berri nel suo sostegno a Hezbollah. E’ vero che Berri ha detto al suo ospite, il segretario di stato americano Mike Pompeo, durante la sua visita in Libano lo scorso mese, che “ lui (Berri) è il padre della resistenza e anche quello che l’ha iniziata contro Israele”. Tuttavia il presidente Aoun, nella sua andata a Mosca per stringere un accordo militare con la Russia, ha espresso il suo pieno sostegno al piano russo di far tornare tutti i profughi siriani in Siria e ha detto a Pompeo che lui appoggia totalmente la Resistenza (Hezbollah). Aoun, in più, ha dato il suo caloroso benvenuto al ministro degli esteri del Venezuela Jorge Arreaza al palazzo presidenziale di Baabda, in barba all’amministrazione americana, impegnata in una sfrenata campagna indirizzata a rimuovere il presidente Maduro. 

In realtà, durante la sua recente visita in Libano, Pompeo non ha trovato nessun partito politico ufficiale, anche tra i suoi alleati più stretti, disposto a mettersi contro Hezbollah. E in più, nessuno tra i leaders delle forze di sicurezza libanesi che Pompeo ha incontrato ha preso posizione contro Hezbollah che ormai fa parte dell’apparato legislativo, esecutivo e che si occupa della sicurezza del paese. 

Sembrerebbe, se la minaccia a Berri è cosa seria, che questa amministrazione americana abbia intenzione di darsi la zappa sui piedi e metter fine così alla sua presenza nel Levante. In questa parte del mondo, gli Stati Uniti non sono ben visti. In Siria sono considerati truppe d’occupazione. In Iraq, le autorità sono divise tra quelli ansiosi di veder partire anche l’ultimo soldato americano e quelli invece disposti a mantenere una limitata collaborazione militare con l’amministrazione americana. Inoltre, i recenti “regali” fatti da Trump al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu (Gerusalemme e le alture del Golan) gli hanno inimicato la popolazione araba e i palestinesi che non considerano più gli Stati Uniti un possibile partner in eventuali, futuri colloqui di pace. 

Ebbene, ci sono membri di AMAL, il gruppo di Berri, che hanno la cittadinanza americana e hanno anche buone relazioni con autorità americane; questi membri stanno cercando di agevolare le relazioni. Al tempo stesso il presidente del parlamento ha già pronte delle misure graduali che verranno prese contro gli Stati Uniti se Washington intenderà mettere in pratica le sue minacce. Questo avverrà se le minacce sono reali e finora nessuna autorità ha confermato le intenzioni di Washington nei confronti di Nabih Berri. 

Le recenti visite di Berri in Iraq dove ha incontrato personalità ai massimi livelli e i leaders religiosi con a capo il Grande Ayatollah Sayyed Ali Sistani, hanno svelato la consistenza dei suoi contatti e dei suoi legami. Visitando l’Iraq, il presidente del parlamento libanese ha mandato un messaggio agli Stati Uniti, dimostrando che la sua leadership di un gruppo sciita non si limita al Libano. Pertanto sta a Washington  misurare bene i propri passi e astenersi dal mandare messaggi minacciosi se poi non è disposta a metterli in atto. Se le minacce però sono reali allora gli Stati Uniti devono prepararsi alle conseguenze. La palla, secondo la fonte, è nella metà campo di Trump, adesso l’iniziativa spetta a lui. 

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