L’aggressività di Trump gli fa vendere le armi ma nel contempo favorisce l’Iran e la causa palestinese.

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Nel periodo in cui lo “Stato Islamico” (ISIS) occupava una parte non indifferente dell’Iraq e della Siria, l’attenzione in Medio Oriente e nel mondo si polarizzava su di lui, offuscando la causa palestinese. I paesi colpiti dall’orrore provocato dall’ISIS erano concentrati a cercare di riconquistare i territori  occupati nel Levante e in Mesopotamia e a fare di tutto per eliminare le sue infrastrutture e fermare il reclutamento di combattenti locali e stranieri. L’obiettivo era bloccare l’espansione del gruppo e prevenire la sua diffusione negli altri paesi della regione. Molti militanti che appartenevano a gruppi palestinesi come Hamas imbracciarono le armi per andare a combattere con al-Qaeda e anche con l’ISIS, soprattutto in Siria, ma anche, in misura minore, in Iraq. Tra il 2012 e il 2018 la dirigenza politica di Hamas appoggiava la guerra della NATO contro il regime in Siria inimicandosi così il presidente Bashar al-Assad il cui governo per decenni aveva difeso Hamas e la causa palestinese. Assad si era rifiutato, per molti anni, di cacciare Hamas dalla Siria su richiesta degli Stati Uniti e adesso veniva ripagato dai suoi dirigenti con questo evidente tradimento. 

Negli ultimi due anni però, il presidente Donald Trump e la sua squadra sono riusciti a dare un grosso sostegno alla causa dei palestinesi ridandole lustro a dispetto dei tradimenti e delle disattenzioni registrate nell’ultimo decennio. Oggi tutti quelli che appoggiano la causa palestinese non solo sono uniti contro un nemico (la coalizione formata da Stati Uniti e Israele) ma sono pronti a combattere compatti su più fronti. 

I regali fatti da Trump al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il Golan siriano occupato da Israele e l’intera città di Gerusalemme, hanno provocato una forte scarica di adrenalina a tutti i movimenti di resistenza, attori non statali del Medio Oriente. Questi gruppi, sostenuti finanziariamente dall’Iran sono uniti non soltanto nella battaglia contro l’egemonia americana ma hanno formato un fronte compatto di lotta agli Stati Uniti e Israele. I segni di questa unificazione sono evidenti in Yemen, Iraq, Iran, Siria, Libano e Palestina. 

Nel mese di maggio, il sabotaggio avvenuto nel porto di al-Fujairah, negli Emirati Arabi Uniti, seguito dall’attacco di droni all’Aramco in Arabia Saudita condotto dagli Houthi yemeniti, sono stati messaggi chiari e forti. I centri (hubs) degli Emirati e dell’Arabia Saudita rendono possibile l’esportazione di milioni di barili di petrolio mediorientale evitando il passaggio attraverso lo stretto di Hormuz; questi centri diventeranno sempre più importanti nei prossimi anni. Da qui l’importanza del messaggio : il sabotaggio e l’attacco con i droni sono un piccolo assaggio di quello che potrebbe succedere anche se sono state trovate alternative al passaggio delle merci nello stretto. A nessun paese sarà concesso di esportare il proprio petrolio se non viene permesso all’Iran. 

Bisogna aggiungere che la politica israeliana improntata al soffocamento di Gaza ha fatto in modo di riunire i vari gruppi presenti nella città in un’unica sede operativa che lotta contro l’esercito israeliano. Dodici formazioni militari palestinesi hanno riunito le loro forze a Gaza e coordinato i bombardamenti delle città israeliane e di altri obiettivi come risposta allo strangolamento della striscia e dei suoi abitanti messo in atto da Netanyahu. 

La conclusione è semplice: più l’amministrazione degli Stati Uniti e Israele disprezzeranno in modo sfacciato i diritti dei paesi del Medio Oriente e dei loro abitanti di vivere in pace tra loro e riavere le loro terre occupate da Israele, più dovranno fare i conti con questi gruppi, man mano sempre più forti tra la popolazione. 

L’Iran trae un immenso vantaggio dalle conseguenze delle politiche degli Stati Uniti e di Israele perché in questo modo aumenta la sua influenza in zone sempre più ampie del Medio Oriente. Può quindi chiedere ai suoi alleati di difendere i suoi interessi e schierarsi con lui in caso si materializzino dei pericoli alla sua sicurezza nazionale. 

Gli Stati Uniti senza dubbio hanno un riscontro a livello finanziario nel mantenere instabile il Medio Oriente, l’instabilità infatti rinforza la loro egemonia sui paesi ricchi di petrolio. Mantenere l’immagine dell’Iran come quella del nemico ha incrementato le loro vendite di armi a livelli senza precedenti. Le lotte tribali e etniche in Medio Oriente servono a tenere divisi i paesi in questa parte del mondo. I conflitti regionali impediscono anche il coordinamento delle politiche tra i paesi produttori di petrolio e assicurano che uno scambio sul mercato commerciale o una unificazione monetaria non saranno possibili nel medio e lungo periodo. 

Durante quest’ultima crisi tra Teheran e Washington, l’amministrazione degli Stati Uniti non è stata in grado di proteggere i paesi del Golfo dal sabotaggio negli Emirati e dall’attacco all’Aramco. Però la sua messinscena di minacce verbali unita allo spiegamento di forze ( una portaerei e i B-52 mandati ad affrontare le supposte minacce dell’Iran) hanno avuto l’effetto di riuscire a vendere ulteriori attrezzature militari, inclusi i missili di intercettazione Patriot, del valore di 8 miliardi di dollari,  intesi a contrastare la potenziale minaccia di missili iraniani lanciati contro i paesi del Golfo. 

Ovviamente non è scoppiata nessuna guerra e sia l’Iran che gli Stati Uniti hanno espresso la volontà di evitarla a qualunque costo. Oggi pare che il segretario di stato Mike Pompeo stia ignorando le 12 condizioni poste precedentemente poiché dice che il suo paese è pronto a trattare con l’Iran senza precondizioni. La disponibilità di Pompeo a negoziare senza condizioni significa ben poco perché da parte sua l’Iran ha posto chiaramente i suoi paletti per i colloqui con l’amministrazione americana : onorare il JCPOA, il trattato nucleare, e togliere le sanzioni. Solo su queste basi l’Iran aprirà la discussione, ma difficilmente farà delle concessioni prima della fine del mandato di Trump nel 2020. Oggi l’Iran sembra essere molto più forte e gli Stati Uniti molto più deboli. 

E’ stato detto che Hezbollah è pronto ad andare in guerra per difendere l’Iran e a bombardare Israele. Lo Yemen sta già aiutando l’Iran con l’uso dei droni contro le strutture petrolifere saudite. Gli attori non statali iracheni hanno mostrato le loro capacità e gli Stati Uniti hanno recepito il messaggio: le truppe americane saranno dei bersagli in Iraq. A Gaza i gruppi palestinesi hanno schierato nuove armi e sono pronti ad unirsi in un fronte comune in caso di guerra con Israele. Questa mobilitazione generale ha costretto gli Stati Uniti e Israele ad accettare una situazione di non belligeranza per il prossimo futuro in Medio Oriente. Oggi Stati Uniti e Israele hanno armi sofisticate e dispongono della più moderna tecnologia militare ma anche i loro avversari sono ben equipaggiati anche se non proprio al loro livello. I loro missili di precisione e i loro droni potrebbero essere sufficienti a mantenere “il necessario” equilibrio di potere. 

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