Mancanza di interesse da parte degli Stati Uniti a mantenere la presenza militare: un effetto benefico sulla  Siria.

Di Elijah J. Magnier 

Tradotto da A.C. 

Gli sviluppi positivi nelle relazioni tra Damasco e i curdi e l’apparente, graduale ritorno della Siria nella Lega Araba, sono indicatori di rilievo del probabile futuro che attende le truppe d’occupazione statunitensi attualmente presenti nel paese. E’ ormai chiaro che l’amministrazione americana non ha nessuna reale intenzione di lasciare la Siria ma neppure di continuare ad accerchiare e stringere d’assedio il suo governo con durissime sanzioni. 

Indubbiamente la decisione presa da Washington di autorizzare Damasco ad importare ed esportare il gas egiziano (attraversa la Giordania e la Siria per raggiungere il Libano) non va solo a beneficio esclusivo del “Paese dei Cedri”. E’ considerato un segnale di apertura verso la Siria che le garantisce innegabili  vantaggi a livello economico. 

A settembre il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry ha incontrato , per la prima volta dopo dieci anni il suo omologo siriano Faisal Mekdad alle Nazioni Unite. E all’inizio di questo mese, sempre per la prima volta dopo dieci anni, il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al Nahyan, si è recato  in Siria. Era accompagnato dal capo dell’Autorità Federale  per l’Identità, la Cittadinanza, le Dogane e la Sicurezza Portuale e questo fatto evidenzia il suo interesse a sviluppare ulteriormente i rapporti con il presidente Bashar al-Assad. Gli Emirati Arabi Uniti avevano riaperto la loro ambasciata a Damasco già due anni fa ma le relazioni tra i due paesi non avevano fatto progressi a causa della politica portata avanti dalla precedente amministrazione americana. 

Sempre in questo quadro di riconciliazione va segnalato che il direttore del Dipartimento di Intelligence siriano, il generale maggiore Hossam Luqa, ha partecipato al Forum dell’Intelligence Araba, sponsorizzato dall’Egitto. Lì ha incontrato molti capi dei servizi di intelligence arabi malgrado il suo nome sia presente nella lista di coloro a cui l’Europa e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni, l’Europa dal 2012, gli Stati Uniti dal 2020. Gli incontri tra la Siria e i paesi arabi da timidi si sono fatti audaci, avvengono  all’aperto e senza timori dopo che i leader occidentali hanno capito che il potere è saldamente nelle mani di Assad. 

Da quando Biden è presidente l’amministrazione americana non ha mai parlato di piani per il futuro relativi alla presenza delle sue truppe al valico di confine di al-Tanf (tra Siria e iraq) e nel nordest siriano. Questa assenza di un progetto potrebbe semplicemente rispecchiare l’intenzione di mantenere lo status-quo evitando così reazioni all’interno degli Stati Uniti più forti di quelle manifestatesi dopo il ritiro dall’Afghanistan. I principali mezzi di comunicazione si sono impegnati in modo decisamente consistente durante i dieci anni della guerra in Siria facendo propaganda per il cambio di regime nel paese anche quando gruppi terroristici come lo “Stato Islamico” (ISIS) e al-Qaeda uccidevano indiscriminatamente tutti coloro che erano contrari ai loro progetti di occupare il Levante, in particolar modo, ma non solo, i siriani non sunniti. E oggi probabilmente sarebbero i primi ad opporsi a qualunque piano americano inteso a sostenere la ripresa economica della Siria e l’attuale governo del paese. 

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