
Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai
Tradotto da: Ali Censi
Gli attacchi avvenuti nel Golfo e nelle sue acque contro i porti, gli oleodotti e le petroliere, hanno assunto le proporzioni di una guerra in scala ridotta; una guerra di più grandi dimensioni avverrà soltanto se l’Iran o gli Stati Uniti faranno degli errori in futuro o provocheranno altre frizioni. Una mossa ambigua o una errata interpretazione degli eventi potrebbero sfociare in una guerra aperta nel Medio Oriente dato che entrambi gli eserciti e i loro alleati sono in stato di allerta. L’efficienza militare di entrambe le parti e dei loro alleati (presenti in ogni angolo del Medio Oriente) è considerevole e non deve essere assolutamente sottovalutata.
Non è abitudine degli Stati Uniti cercare delle giustificazioni legittime, significative e valide per dare il via ad una guerra se la decisione è stata già presa. I recenti eventi ( i sabotaggi a al-Fujairah negli Emirati, l’attacco all’oleodotto dell’Aramco, gli attacchi alle due petroliere nel golfo dell’Oman e il video del Comando Centrale degli Stati Uniti che pretende di mostrare l’equipaggio di una barca iraniana intento a rimuovere una mina inesplosa Limpet dalla nave Kokuka Courageous) hanno già dato loro abbondanti pretesti per scatenare una guerra, sempre che abbiano questo in mente. Se fosse così, il presidente Donald Trump avrebbe però già ordinato al suo esercito di lanciare un attacco missilistico mirato come aveva fatto in Siria o perlomeno un attacco aereo punitivo pianificato con i suoi fidati alleati europei. O forse avrebbe anche preparato l’esercito ad andare in guerra come aveva fatto George W. Bush con l’Iraq nel 2003.
Il motivo per cui Trump si è astenuto dal dare l’ordine di attaccare è che lui sa bene che una operazione militare contro l’Iran non sarebbe una passeggiata. Le conseguenze di un attacco di questo tipo sono imprevedibili e il risultato non sarebbe ovviamente scontato.
Questo è sufficiente a mostrare come Trump non voglia andare in guerra e come, allo stesso tempo, non sia riuscito a prevedere la reazione iraniana alle sue sanzioni aggressive e alle sue minacce. Molto probabilmente il presidente americano non è stato in grado di capire o prendere seriamente il suo omologo iraniano, Hassan Rouhani quando l’anno scorso dichiarava che “ se l’Iran non può esportare il suo petrolio dal Golfo, nessun altro paese potrà farlo”. Le tipiche frasi vuote e le sparate fatte a livello politico in Occidente, così amate da Trump, forse rendono difficile l’approccio dei capi di stato occidentali con personalità che sanno bene quel che dicono.

Entrambi, Iran e Stati Uniti sono giunti a un punto morto. L’Iran è convinto che accettare di sedersi al tavolo dei negoziati con gli Stati Uniti sia un segno di debolezza. Teheran non ha inoltre nessuna fiducia negli impegni presi dagli Stati Uniti e nelle loro promesse. La Guida Suprema della rivoluzione Sayyed Ali Khamenei diceva alle autorità iraniane : “ se gli Stati Uniti chiedessero un dito e noi dicessimo di sì, la richiesta successiva sarebbe l’intera mano e se ancora acconsentissimo, vorrebbero il braccio e poi tutto il corpo. Mai aver fiducia negli Stati Uniti”.
Trump si è intrappolato da solo quando ha affossato il trattato sul nucleare e ha imposto severe sanzioni all’Iran. Ha infatti liberato il genio che stava chiuso nella bottiglia riuscendo così a unire tutti in Iran contro l’amministrazione degli Stati Uniti proprio in un momento in cui invece molti appoggiavano le trattative e la ripresa dei rapporti con Washington.
Trump ha sottovalutato la potenza militare dell’Iran, in particolare l’importanza strategica dei missili da crociera che adesso gli alleati di Teheran in Libano, Iraq, Siria e Yemen posseggono. Questi missili e altre risorse militari possono procurare notevoli danni agli alleati americani in Medio Oriente e alle truppe statunitensi che si trovano in loco. Uno scontro di questo tipo destabilizzerà anche l’economia mondiale e Trump sarà il primo ad essere accusato, anche dai suoi alleati, proprio perché è stato lui quello che ha dato il via, con la revoca del trattato nucleare, all’aumento delle tensioni e a tutto quello che ne consegue.
Trump dice di non volere una “escalation” militare. Questa sua intenzione è espressa chiaramente oggi dal Comando Centrale degli Stati Uniti: “ Gli Stati Uniti non hanno nessun interesse a partecipare ad un nuovo conflitto in Medio Oriente”.
Una guerra estesa sarà devastante per l’Iran ma anche per molti paesi del Medio Oriente. Gli alleati dell’Iran dicono di esser pronti per la guerra. Il mese scorso il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha detto alla dirigenza politica e ai comandanti militari dell’organizzazione (nonostante ci siano state parecchie smentite) che una guerra in estate è molto probabile. Ed è la stessa valutazione fatta dal comandante dell’ IRGC ( Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) Qassem Soleimani che con i suoi alleati affermava che l’Iran non si sarebbe piegato a convivere con le attuali durissime sanzioni. Sayyed Nasrallah in questo mese segnalava che “l’intera regione andrà a fuoco se gli Stati Uniti faranno la guerra all’Iran” e “tutte le forze degli Stati Uniti e i loro interessi nella regione verranno annientati”. In Iraq molti gruppi hanno giurato di espellere le migliaia di militari americani che si trovano nel paese. Questi iracheni sono combattenti di grande esperienza e posseggono missili di precisione che potrebbero verosimilmente essere usati per colpire le varie basi americane sparse nel paese in caso di guerra all’Iran. Nello Yemen gli Houthi hanno già usato un missile da crociera che ha colpito l’aeroporto di Abha in Arabia Saudita e lo scorso mese hanno colpito con un drone una stazione petrolifera nella provincia saudita di Yanbu.

Tutto questo ci fa capire che l’Iran è pronto a incendiare il Medio Oriente se gli viene impedito di esportare il suo petrolio. Trump a questo punto deve sapere che c’è questa possibilità e che le sanzioni che ha imposto potrebbero portare ad una guerra oppure, nel migliore dei casi, rendere insicuri i trasporti di energia dal Golfo al resto del mondo.
Trump non può scegliere di avventurarsi in una guerra adesso, mentre sta per iniziare la sua campagna elettorale finalizzata ad ottenere un secondo mandato. I corpi dei soldati americani che tornano negli Stati Uniti nei sacchi di plastica diventerebbero l’eredità storica della sua era.
Ma il presidente degli Stati Uniti non offre all’Iran niente su cui poter negoziare e in conseguenza alleggerire la tensione. Gli inviati europei e giapponesi che si riversano in Iran per “mediare” non si sono ovviamente offerti di comprare la loro quota dei due milioni di barili di petrolio giornalieri da cui dipende l’economia iraniana e neppure di togliere le sanzioni americane riportando in Iran quelle compagnie che se ne erano andate per le minacce degli Stati Uniti. Il sostegno di questi emissari, un sostegno esclusivamente a parole, non fa nulla per migliorare la vita degli iraniani obbligati a convivere con queste drastiche penalizzazioni economiche imposte dagli Stati Uniti.

Se in realtà ci fosse l’Iran dietro agli attacchi nel golfo, l’assenza di una possibile via di fuga dall’aggressione di Trump non potrebbe far altro che portare Teheran sul sentiero di una graduale escalation. Chiunque abbia attaccato le due petroliere nel Golfo dell’Oman non aveva l’intenzione di affondarle o distruggerle, infatti se così fosse stato sarebbero state usate almeno 6-8 mine per disintegrarle completamente. La posizione stessa di una delle mine al di sopra della linea di galleggiamento indica che chiunque l’abbia fatto aveva l’intenzione di ridurre al minimo l’inquinamento del Golfo.
Se è questo il sentiero scelto dall’Iran, il prossimo attacco sarà più duro. Ci saranno attacchi negli aeroporti, nelle installazioni petrolifere o alle petroliere? Un attacco futuro potrebbe far affondare una nave. La “guerra alle petroliere” non è sicuramente finita con l’ultimo attacco nel golfo dell’Oman.
E’ ovvio che l’Iran sia il sospettato numero uno ma finora non ci sono prove evidenti. La rimozione di una sconosciuta mina Limpet in un tempo così breve e con tanta facilità (come mostra il video degli Stati Uniti) non avviene certamente tutti i giorni anche tra gli esperti di esplosivi. Nessun esperto, anche se conosce il dispositivo, toccherebbe mai qualcosa di inesploso senza prendere le massime precauzioni e farebbe un lungo, approfondito esame di qualsiasi ordigno mettendo anche in conto di dover evitare un’ipotetica esplosione tele-comandata. Servono solide prove e non analisi semplicistiche per accusare Teheran.
C’è una via d’uscita da questa escalation? L’Iran non ha fiducia nelle Nazioni Unite perché l’amministrazione degli Stati Uniti ha sminuito il loro ruolo e la loro efficacia. Non crede a questa Europa divisa che ha scelto di non fare niente accettando passivamente le sanzioni e le intimidazioni di Washington. L’Iran non ha nessuna fiducia in Trump che ha revocato l’accordo sul nucleare e viene per di più accusato a casa sua di “non rispettare lo stato di diritto e le istituzioni democratiche”.
Un coordinamento con la Russia è fuori questione, metterebbe in cattiva luce la campagna elettorale di Trump. Non può neppure permettersi che la Cina, il peggior avversario economico nonché l’incubo degli Stati Uniti, prenda il sopravvento. La soluzione potrebbe passare attraverso i paesi del Golfo. Tra i paesi arabi ce ne sono alcuni che non vengono considerati nemici e hanno buone relazioni sia con gli Stati Uniti che con l’Iran, per esempio Iraq, Qatar, Kuwait e Oman. Se gli Stati Uniti si rifiutano di prendere in considerazione questi paesi e di affidarsi a loro per iniziare delle trattative serie, dopo aver tolto le sanzioni all’Iran, questa “piccola guerra” potrebbe estendersi nelle settimane a venire.
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