Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai
Tradotto da: Alice Censi
Gli Stati Uniti d’America, vincitori della Seconda Guerra Mondiale, emersero dal conflitto come la nazione più forte e più ricca del mondo. Gli altri alleati, in particolare l’Unione Sovietica, anche se vincitori, ne uscirono invece decisamente indeboliti. Dovevano ricostruire i loro paesi e ristrutturare la loro economia e in più pagare somme ingenti agli Stati Uniti per il loro sostegno militare. Gli Stati Uniti avendo il possesso esclusivo della bomba atomica si imponevano come potenza dominante, indiscutibilmente la prima potenza militare del pianeta. La ricostruzione dei paesi industrializzati avvenne nel periodo che in Germania viene definito “Wirtschaftswunder”
(miracolo economico) e in Francia “ les Trentes Glorieuses” ( il trentennio glorioso ), i trent’anni di forte crescita economica (dal 1945 al 1975). Nel frattempo gli Stati Uniti utilizzavano la loro ricchezza per allargare la loro egemonia nel mondo. Il loro potere crebbe con la comparsa della “Perestroika” e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Con l’arrivo del nuovo millennio la dirigenza americana dichiarò la “ War on Terror” (guerra al terrorismo), una giustificazione all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, e cercò, nel contempo, di soggiogare Hezbollah in Libano, di rovesciare il regime in Libia e di distruggere la Siria, tutto con lo scopo di ridisegnare un “New Middle East” (un nuovo Medio Oriente).
Nel Levante gli Stati Uniti hanno fallito miseramente non riuscendo a raggiungere i loro obbiettivi ma ce l’hanno fatta a svegliare la Russia ibernata da tanto tempo: adesso Mosca sta sfidando la loro egemonia unilaterale del mondo e sviluppa nuove forme di alleanza. Anche l’Iran sfida questa egemonia dal 1979, l’anno della “Rivoluzione Islamica”. Meticolosamente e con molta pazienza Teheran è riuscita a dar vita ad un insieme di alleati disseminati in varie zone del Medio Oriente. Dopo 37 anni oggi può contare su solidi e affidabili alleati in Palestina, Libano, Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan, tutti pronti se fosse necessario a imbracciare le armi per difenderla. Gli errori degli Stati Uniti hanno portato vantaggi non indifferenti all’Iran: l’incapacità di capire i popoli e i leaders non consente agli americani di “conquistare i cuori e le menti” in quei paesi del Medio Oriente dove si sono imposti come potenziali alleati.
L’arrivo del presidente Trump al potere ha fatto sì che gli alleati degli Stati Uniti e il campo anti-americano scoprissero, insieme, i limiti e la portata delle sanzioni imposte da Washington. Russia e Cina hanno così preso l’iniziativa e proposto un nuovo modello, più duttile, di alleanza che apparentemente non vuole imporre un’altra forma di egemonia. La loro offerta di alleanza economica attrae non poco tutti quelli che hanno assaggiato l’egemonia americana e che vorrebbero affrancarsene abbracciando un’alternativa più equilibrata.
Il Medio Oriente è diventato un’enorme deposito di armi sofisticatissime arrivate da varie parti. Tutti i paesi ( e anche attori non statali) posseggono droni armati e alcuni hanno anche missili di precisione e da crociera. Ma la superiorità a livello di armamenti conta molto poco, infatti anche un paese poverissimo come lo Yemen ha provocato seri danni alla ricca Arabia Saudita super-equipaggiata a livello militare, lo stato mediorientale che possiede le armi americane più sofisticate.
Il presidente Trump era a conoscenza dell’evidente fallimento del piano di cambiare il regime in Siria e anche dell’impossibilità di rimuovere l’Iran dal Levante. Molto probabilmente voleva evitare la perdita di vite umane e quindi ha deciso di abbandonare il paese occupato dalle sue truppe negli ultimi anni. Tuttavia il suo ritiro improvviso, sebbene parziale (lui sostiene che una piccola unità resterà ad al-Tanf peraltro senza un beneficio strategico visto che il valico di al-Qaem è aperto) è stato uno shock per i suoi alleati curdi e israeliani. Trump si è infatti dimostrato capace di abbandonare i suoi più stretti alleati nel giro di una notte.
La mossa di Trump è stata un’inaspettata vittoria per Damasco. Molto lentamente il governo siriano si sta riprendendo la sua fonte principale di cibo, agricoltura e energia. Il nord-est siriano equivale ad un quarto del paese. Le province del nord sono ricchissime d’acqua, dighe, petrolio, gas e cibo. Il presidente Trump ha restituito il nord-est al presidente Bashar al-Assad. E tutto questo servirà alla campagna elettorale di Trump.
Assad ha fiducia nella Russia per fermare l’avanzata turca e ridurne le conseguenze e forse avverrà chiedendo ai curdi di ritirarsi di 30km dal confine con la Turchia calmando così l’ansia di Erdogan. Rispetterebbe anche l’accordo di Adana del 1998 tra Russia e Turchia (5 km di zona cuscinetto invece di 30) e tranquillizzerebbe tutte le parti coinvolte. La Turchia vuole assicurarsi che le YPG curde, il ramo siriano del PKK, vengano disarmate e controllate. Non dovrebbe essere difficile per la Russia soprattutto dopo che il ritiro delle truppe americane, il problema più grosso, è diventato realtà.
Il presidente Assad sarà ben contento di spuntare gli artigli ai curdi. I curdi lasciavano Afrin alla Turchia pur di non darne il controllo all’esercito siriano. E per avere lo stato tanto sognato (Rojava) appoggiavano l’occupazione americana e il nemico della Siria, Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha bombardato centinaia di obbiettivi in Siria preferendo avere l’ISIS nel paese e ha spinto Trump a regalargli le alture siriane occupate del Golan anche se gli Stati Uniti non hanno nessuna autorità sul territorio della Siria.
Centinaia di migliaia di siriani sono stati uccisi, milioni di rifugiati sono stati strappati alle loro case e centinaia di miliardi di dollari spesi per distruggere la Siria. Ma nonostante tutto lo stato siriano e il presidente Assad hanno avuto la meglio. Malgrado le conseguenze della guerra i paesi arabi del golfo sono impazienti di tornare in Siria e partecipare alla ricostruzione. Indipendentemente da chi governerà la Siria, il tentativo di distruggerla e cambiarne l’attuale regime è fallito.
La Russia è tra quelli che registrano un grande successo a parecchi livelli e si trova in una posizione che il presidente Putin, prima del 2015, poteva solo sognare di avere. Tantissimi analisti e studiosi di politica avevano previsto che la Russia sarebbe sprofondata nella palude siriana e prendevano anche in giro il suo equipaggiamento militare : si sbagliavano. La Russia ha imparato dai suoi errori nell’invasione dell’Afghanistan del 1979. Ha messo a disposizione della Siria la sua aviazione e i suoi missili che hanno cooperato magnificamente con le truppe di terra dell’Iran e dei suoi alleati.
Il presidente Putin ha gestito la guerra in Siria con grande abilità, ha creato equilibri e buoni rapporti con la Turchia, alleata della NATO, anche dopo l’abbattimento di un suo aereo da parte di Ankara nel 2015. Avrebbe anche collaborato con gli Stati Uniti ma si è trovato di fronte un’amministrazione sempre russofobica. Mosca è andata avanti, senza Washington, a cercare di risolvere la guerra siriana e soprattutto a sconfiggere i jihadisti piombati nel paese da ogni parte del mondo con l’aiuto dell’Occidente ( attraverso la Turchia e la Giordania).
La Russia ha mostrato il suo nuovo arsenale militare riuscendo a vendere tantissime armi. Ha addestrato la sua aviazione in battaglie reali, combattuto con l’esercito siriano e quello iraniano e con Hezbollah. 40 anni dopo la sua sconfitta in Afghanistan ha sconfitto l’ISIS e al-Qaeda. Il presidente Putin si è distinto come partner e alleato affidabile, esattamente il contrario di Trump che ha abbandonato i curdi e che ricatta anche il suo alleato più stretto, l’Arabia Saudita.
La Russia ha sostituito i colloqui di pace di Ginevra con il processo di Astana, ha proposto agli altri paesi di usare la loro moneta nei commerci al posto del dollaro e tratta in modo pragmatico con l’Iran e l’Arabia Saudita così come con Assad e Erdogan. Gli americani hanno dimostrato di non saper usare la diplomazia.
Mosca ha saputo mediare tra i curdi siriani e il governo centrale di Damasco anche quando i curdi erano sotto il controllo degli Stati Uniti da anni. Putin si è comportato saggiamente con Israele anche quando ha accusato Tel Aviv di aver provocato la morte dei suoi militari e ha mantenuto una posizione relativamente neutrale nella lotta tra Israele e l’Iran.
Israele non avrebbe mai pensato che la Siria sarebbe stata riunificata. Oggi Damasco ha droni armati, missili da crociera forniti dall’Iran, missili supersonici anti-nave russi ed è sopravvissuta alla distruzione delle sue infrastrutture e a tutti questi anni di guerra.
Israele ha perso la speranza di vedere nascere uno stato curdo (Rojava) alleato. Questo sogno è svanito e con lui quello della divisione della Siria e dell’Iraq. L’ “accordo del secolo” non ha più alcun senso e l’accordo di non aggressione con i paesi arabi è un miraggio. Tutto quello che il gran consigliere di Trump (Netanyahu) voleva oggi non ha più significato e Israele dovrà fare i conti con la presenza russa in Medio Oriente e con la vittoria di Assad, dei russi e degli iraniani.
Dopo i curdi Israele è il grande sconfitto anche se non ha avuto danni economici e nessun israeliano è rimasto ucciso in combattimento. Le ambizioni di Netanyahu non possono più essere usate nello scenario elettorale. Israele deve prepararsi ad avere come vicino della porta accanto il presidente Assad che sicuramente vorrà indietro le alture del Golan, una priorità da risolvere quando partirà la ricostruzione del paese. Assad prepara la resistenza locale da anni, in attesa del giorno in cui la Siria si riprenderà questo suo territorio.
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