Anche sotto sanzioni l’Iran finanzia i suoi alleati nella regione: un’imprudenza?

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da Alice Censi 

In un momento in cui l’Iran è costretto ad affrontare le pesanti conseguenze della politica della “ massima pressione” intrapresa dagli Stati Uniti, molti, all’interno del paese,   sollevano dubbi sull’opportunità di continuare a finanziare gli  alleati in Medio Oriente. Questi alleati sono in Afghanistan come in Yemen, Iraq, Siria, Libano e Palestina. Forse è proprio questo aiuto dato loro la causa principale dell’atteggiamento aggressivo degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran e della sua popolazione o c’è dell’altro? Qual’è il motivo che spinge Teheran a finanziare questi alleati, a dotarli delle armi più sofisticate e anche a combattere e morire sul loro territorio? 

Dal trionfo della “ Rivoluzione Islamica” del 1979, guidata dall’Imam Khomeini, il paese è sempre stato sanzionato duramente dagli Stati Uniti e le sanzioni aumentavano con l’avvento di quasi tutti i nuovi presidenti eletti. Nel 1979 l’Iran non aveva alleati, era circondato soltanto da nemici. I suoi vicini infatti, insieme all’Occidente, appoggiarono la guerra condotta da Saddam Hussein alla “Repubblica Islamica”. La lunga guerra degli Stati Uniti contro l’Iran iniziava con la caduta del loro “delegato”, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi. Si è scoperto successivamente come la CIA era riuscita a portare al potere lo Scià attraverso un colpo di stato organizzato contro il primo ministro democraticamente eletto, Mohamad Mossadeq, nel 1953, allo scopo di lasciare la gestione del petrolio iraniano in mano agli americani e agli inglesi. Non è mai stata la democrazia il vero problema: le guerre provocate dall’Occidente sono sempre motivate dagli interessi economici e dal bisogno di dominare. Ma tutti i tentativi per cercare di rovesciare i regimi vengono sempre giustificati ufficialmente in nome della libertà e della democrazia. 

Nel 1979 gli Stati Uniti predisponevano una trappola che avrebbe portato l’Unione Sovietica ad invadere l’Afghanistan appoggiando quei mujaheddin da cui poi sarebbe nata al-Qaeda. I risultati catastrofici e i fenomeni distruttivi di questo tipo vengono abitualmente definiti “conseguenze non preventivate” allo scopo di dare una giustificazione razionale ai costi assurdi che hanno queste selvagge intromissioni nelle vite degli altri e negli affari mondiali. Sta di fatto che nel 2001 gli Stati Uniti si ritrovarono esattamente nello stesso pantano invadendo a loro volta l’Afghanistan con decine di migliaia di soldati. Il piano era quello di impedire un possibile ritorno della Russia in Eurasia, indebolire i russi, circondare l’Iran di nemici, intimidire tutti i paesi coinvolti e sottometterli, in particolare quelli ricchi di petrolio, sbarrando il passo ad una loro possibile alleanza con la Russia e la Cina. E questo è ancora oggi l’obbiettivo degli Stati Uniti in Medio Oriente. La storia non è mai stata una buona guida per i potenti capi di stato e le loro amministrazioni, apparentemente si sentono superiori ai suoi insegnamenti. 

L’Iran si ritrovava a quel tempo senza alleati. Con l’approvazione degli stati del Golfo, in particolare dell’Arabia Saudita, Israele invadeva il Libano nel 1982 per eliminare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) capeggiata da Yasser Arafat che aveva bocciato l’iniziativa di pace del re Fahd. Ma le cosiddette “ conseguenze non preventivate” dell’invasione e dell’occupazione da parte di Israele di una capitale araba (Beirut) diedero all’Iran l’eccellente opportunità di venire incontro alle richieste d’aiuto di un gruppo libanese determinato a contrastare l’aggressione israeliana. L’Imam Khomeini ai suoi interlocutori libanesi ( che gli descrivevano le nefandezze commesse dall’esercito israeliano) diceva queste parole: “al-kheir fima waqaa” cioè “ ciò che succede è una benedizione”. I suoi interlocutori sul momento non capirono il significato che venne però compreso molti anni dopo. L’Iran, negli sciiti libanesi, trovava terreno fertile in cui piantare i semi della sua ideologia. Il terreno era già pronto nel 1978. In Libano, i seguaci islamici di Sayyed Mohamad Baqer al-Sadr venivano addestrati in vari campi palestinesi incluso quello di Zabadani in Siria e avevano abbracciato la causa palestinese. Quando l’Imam Khomeini andò al potere in Iran, Sayyed Mohammad Baqer al-Sadr chiese ai suoi seguaci in Iraq e Libano di dichiarargli lealtà e di “fondersi in lui così come lui si fondeva nell’Islam” che significa “ adottate l’Imam Khomeini come il vostro Imam e Marja’ al-Taqleed”. L’Iran riuscì a stabilire una notevole compatibilità ideologica con gli sciiti libanesi che in Libano erano sempre stati considerati cittadini di serie B. I territori in cui abitavano, nel sud, venivano considerati sacrificabili e quindi offerti a Israele dai potenti del paese, élite e governo. 

La costituzione iraniana prevede che il governo appoggi tutti i gruppi e i paesi che sono vessati dagli oppressori. Una linea di condotta che si sposava perfettamente con la situazione degli sciiti del Libano. 

Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana (IRGC) a quel punto andava in Libano e lì, passando attraverso la Siria, portava le sue armi per equipaggiare la Resistenza Islamica locale (che poi sarebbe diventata Hezbollah) che difendeva il paese dall’occupante. Era ovviamente necessario stabilire un’alleanza strategica con il presidente della Siria proprio perché la maggior parte dei rifornimenti passava da lì. 

I rapporti tra Iran e Siria hanno sempre conosciuto alti e bassi e raggiunto il culmine negli ultimi anni della presidenza di Hafez al-Assad quando il figlio Bashar era responsabile delle relazioni con il Libano, in particolare con Hezbollah. 

I destini del Libano, della Siria e dell’Iran si intrecciavano. A fatica il presidente Bashar al-Assad tenne il suo paese fuori dal conflitto quando gli Stati Uniti occuparono l’Iraq nel 2003. Il cerchio attorno all’Iran si stringeva ulteriormente, infatti le truppe americane occuparono il vicino Iraq. Sbarazzarsi di Saddam Hussein fu una benedizione per il regime iraniano anche se Saddam era ormai così debole che non rappresentava un vero pericolo. L’embargo degli Stati Uniti lo aveva fiaccato e dopo l’invasione del Kuwait e il bombardamento dell’Arabia Saudita non aveva più amici nei paesi del Golfo. 

Gli Stati Uniti impedirono all’Iran di appoggiare la resistenza irachena che voleva rimuovere Saddam Hussein per poter essere loro i controllori dell’Iraq. I loro obbiettivi successivi erano la Siria e il Libano. Il segretario di stato Colin Powell avvisava il presidente Assad che sarebbe stato lui il primo della lista dei presidenti da rimuovere se avesse continuato ad appoggiare Hamas e Hezbollah. Gli Stati Uniti si dichiararono occupanti e il diritto dell’Iraq di difendere il proprio paese venne riconosciuto dalle Nazioni Unite. Assad, come l’Iran e l’Arabia Saudita, sosteneva la ribellione contro le truppe degli Stati Uniti in Iraq. Ma i sauditi non accettavano il fatto che gli sciiti governassero l’Iraq. Subito dopo, nella lista degli Stati Uniti, veniva l’Iran. Per l’Iran combattere gli americani in Iraq era ovviamente molto meno gravoso che affrontarli sul suo terreno. A quel punto, rafforzare gli alleati iracheni diventava una componente essenziale della sicurezza nazionale iraniana e un’importante linea di difesa. 

Nel 2006 l’amministrazione Bush spingeva il primo ministro israeliano Olmert a scendere in campo per distruggere Hezbollah anche se Olmert aveva parecchie perplessità. Era un’opportunità per conquistare la Siria e bloccare i rifornimenti di armi dall’Iran. Lo scopo degli Stati Uniti e dei loro alleati era quello di stringere il cerchio attorno all’Iran eliminando il suo potente alleato in Libano. Hezbollah era l’ostacolo al progetto americano e israeliano che prevedeva di portare tutti gli arabi al tavolo dei negoziati, di eliminare la causa palestinese e i suoi difensori e di indebolire l’Iran, il preludio al rovesciamento del suo governo. 

Quando Israele bombardò il Libano nel 2006 e iniziò la sua invasione per sconfiggere Hezbollah, il presidente Assad aprì i suoi depositi di armi offrendo all’organizzazione libanese i  missili anticarro (che avrebbero fatto la differenza) e tutte le armi di cui avrebbe avuto bisogno per poter contrattaccare, nonostante la superiorità aerea di Tel Aviv. Assad ebbe un ruolo fondamentale nella sconfitta di Israele in Libano. Un’eventuale caduta di Hezbollah avrebbe avuto conseguenze devastanti per la Siria e l’Iran. Formare un fronte alleato (Libano, Siria, Iraq, Iran) era necessario per la sopravvivenza di tutti. 

Nel 2011 il mondo dichiarava guerra alla Siria. Ci vollero due anni prima che il presidente Assad si rendesse conto che il complotto era non solo regionale ma internazionale e ambiva a portare il caos nel Levante per poter creare uno stato in balia dei jihadisti. Quegli stessi jihadisti che prima erano in Afghanistan adesso si espandevano e diventavano lo strumento perfetto, nelle mani degli Stati Uniti, per distruggere l’Iran e i suoi alleati. I servizi segreti dei paesi della regione e dell’Occidente si infiltrarono tra i jihadisti e capirono molto  bene la loro forza e anche i loro punti deboli. Erano proprio adatti a combattere l’ideologia iraniana e l’alleato dell’Iran. Il jihadismo wahabita era il cancro che avrebbe potuto  distruggere l’Iran su molti fronti. 

I jihadisti crescevano in Iraq e si espandevano in Siria sotto gli occhi attenti degli Stati Uniti come hanno poi rivelato le stesse fonti dell’intelligence americana. Il Levante era il luogo ideale, quello antico più ambito dai jihadisti per riprodursi e espandersi. A quel punto il presidente Assad chiedeva aiuto ai suoi alleati. Truppe dell’IRGC si trasferivano a Damasco e il lungo viaggio per liberare la Siria iniziava. La Siria, come l’Iraq, offriva una linea di difesa vitale all’Iran. Era un’altra piattaforma su cui combattere (un terreno non iraniano) un nemico che sarebbe arrivato in Iran se la Siria fosse stata sconfitta. Era un’occasione che l’Iran non poteva lasciarsi sfuggire data l’importanza strategica della Siria. 

Solo nel settembre del 2015 la Russia aprì gli occhi decidendo di entrare nell’arena mediorientale (soprattutto in Siria). Durante tutti quegli anni gli Stati Uniti erano riusciti a tenerla lontana e a impedirle di stringere alleanze nell’area dovendo sconfiggere l’Iran e i suoi alleati dell’”Asse della Resistenza”, i grandi nemici dell’egemonia statunitense in Medio Oriente. Tutti i paesi del Golfo si sono inchinati davanti al potere degli Stati Uniti e ospitano le loro basi militari. In queste basi ci sono  decine di migliaia di militari, una potenza di fuoco che supera quella di qualunque altro paese al mondo. Solo l’Iran e il Levante (Siria e Libano) si oppongono alla realizzazione del sogno americano di dominare tutti. 

Se non ci fossero stati gli alleati di Teheran, tutti gli sforzi militari degli Stati Uniti si sarebbero concentrati solo sull’Iran. Gli Stati Uniti sarebbero passati dalle sanzioni all’attacco militare senza temere le conseguenze. Oggi invece gli Stati Uniti devono tenere in considerazione che se l’Iran venisse attaccato tutti i suoi alleati in Palestina, Libano, Siria e Iraq non avrebbero la minima esitazione a scatenare l’inferno contro le truppe americane e i loro alleati in Medio Oriente. Quarant’anni di appoggio dell’Iran ai suoi alleati hanno fatto sì che si creasse un muro che lo protegge da ogni parte e un legame intenso al punto che tutti sono pronti a condividerne il destino. Nessun paese al mondo può contare su alleati così, pronti a sacrificare i loro soldati appena ce n’è bisogno e a schierarsi su una motivazione ideologica e su obbiettivi comuni. Non solo l’Iran investe sui suoi partners, l’Iran investe sulla sua sicurezza e sul suo benessere. L’Iran è pronto a offrire gli stessi sacrifici offerti a lui dagli alleati nel momento del bisogno. 

Molti libanesi e iracheni hanno combattuto nella guerra tra Iraq e Iran. Migliaia di iraniani, di iracheni e di Hezbollah libanesi (e altri alleati) hanno perso la vita in Siria per proteggere il paese e impedire che cadesse nelle mani dei jihadisti. Tanti iraniani e libanesi sono stati uccisi in Iraq mentre combattevano a fianco degli iracheni contro l’ISIS. Oggi gli iraniani e i libanesi di Hezbollah sono in Yemen, lo sostengono nella sua lotta contro l’Arabia Saudita colpevole di innumerevoli massacri nel paese. L’Iran e Hezbollah si sono avventurati nella difesa dei palestinesi che hanno il diritto di ritornare nelle loro terre, in un loro stato. Non c’è nessun alleato degli Stati Uniti, in nessuna parte del mondo, pronto a esprimere loro una simile solidarietà. L’Iran ha creato delle alleanze di notevole spessore mentre gli Stati Uniti non sono stati in grado di farlo. 

In seguito all’immorale assassinio del generale maggiore Qassem Soleimani l’Iran ha attaccato la base militare di Ayn al-Assad senza nascondersi agli occhi del mondo. Nessun paese  avrebbe mai osato attaccare gli Stati Uniti così pubblicamente, provocare più di cento feriti e continuare come se niente fosse a sfidare la loro egemonia. L’Iran non ha avuto nessun bisogno di chiedere ai suoi alleati di agire al posto suo. Sul campo di battaglia l’Iran e i suoi alleati sono un tutt’uno contro il nemico. Gli Stati Uniti vorrebbero un Iran senza missili, senza droni e senza capacità di intelligence. Ma tutto ciò è vitale per  proteggere il paese e impedire che sia vulnerabile. Se l’Iran non avesse gli alleati che ha e i missili che si è costruito, gli Stati Uniti avrebbero risposto all’attacco senza nessuna esitazione. 

La guerra è tutt’altro che finita. L’Iran e i suoi alleati sono ancora in piena lotta e certamente gli Stati Uniti e Israele non stanno lì a guardare. Più che mai è d’obbligo la solidarietà tra l’Iran e i suoi alleati. Quanto spenda annualmente l’Iran per i suoi partner è irrilevante anche se la popolazione si lamenta e mette in discussione i benefici di questa scelta. Lo spirito di sacrificio che unisce gli alleati e li spinge a proteggersi a vicenda non può diventare soltanto un problema di soldi. Non ha prezzo. 

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