Cosa chiede la Francia al Libano e a Hezbollah: riuscirà a ottenerlo? 3/3

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da A.C. 

Il presidente Macron dal Libano ha mandato messaggi in varie direzioni. E’ chiaro che l’America non ha osteggiato il suo tentativo di intervenire direttamente. Il Libano è un paese assai complesso dove la Francia non ha un radicamento tale da permetterle di realizzare i cambiamenti che vorrebbe attuare. Ma Parigi vuole riavere un ruolo importante nel Paese dei Cedri a cominciare dal porto e arrivare ad accordi economici su petrolio, gas, elettricità e infrastrutture; se questa impresa andasse a buon fine, potrebbe riuscire a creare una solida base popolare. 

Ma c’è anche un’altra ragione che ha portato la Francia in Medio Oriente dopo un’assenza lunghissima, ed è la presenza della Turchia che si sta imponendo in Libia, Iraq, Siria, Libano e Palestina. Dopo l’esplosione del porto avvenuta il 4 agosto, il vice presidente turco Fuat Oktay arrivava in Libano a capo di una delegazione di cui faceva parte anche il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu che esprimeva al presidente Michel Aoun “ l’immediata disponibilità della Turchia a ricostruire il porto e gli edifici adiacenti”. 

Ma la Turchia non si fermava lì bensì annunciava la sua intenzione di conferire “la cittadinanza turca a tutti coloro che, desiderandola, avessero dichiarato di essere turchi o turkmeni”. Questa proposta ha delle enormi implicazioni perché la presenza di cittadini turchi in un paese non lontano dalla Turchia, in Medio Oriente, offrirebbe alla leadership di Ankara la scusa per intervenire direttamente a “difesa dei suoi cittadini” ogniqualvolta lo ritenesse opportuno. L’espansione turca in Libia, Iraq, Cipro e Siria ovviamente non gli basta, il presidente Recep Tayyip Erdogan (che ha visitato la comunità turkmena in Libano nella città settentrionale di Kawasha, nel distretto di Akkar, nel 2020) cerca di allungare le mani anche sul Libano. 

L’intervento turco si materializzava nel nord del Libano attraverso l’assistenza fornita dalla TIKA ( Agenzia per la Cooperazione e il Coordinamento Turco) alle regioni di Denniyeh, Tripoli e Akkar. Una notevole presenza di associazioni turche è stata anche registrata in altri luoghi del Libano, soprattutto a Ketermaya, nel campo profughi di Burj Al-Barajneh, a Debbieh e in altri campi profughi palestinesi. 

Da sempre gli stati che stanno dietro alle agenzie di soccorso e a quelle non governative (ONG)  agevolano la creazione di incubatori per coloro che finanziano queste organizzazioni. Il Libano è sempre stato aperto alle “interferenze” straniere e per decenni ha accolto a braccia aperte l’intromissione di molti paesi nelle sue faccende, in particolare dopo il ritiro della Siria  (2005) e la fine della sua grande influenza nel paese. In seguito all’esplosione del porto dell’agosto scorso parecchie centinaia di ONG si sono registrate ufficialmente per poter ottenere i 290 milioni di dollari delle donazioni mondiali e distribuirli (a quanto pare) nelle zone più danneggiate di Beirut. 

La Turchia ha interesse che le sue compagnie investano in Libano nelle attività di esplorazione  di giacimenti di gas e petrolio e vede il Libano come un posto ricco di opportunità in cui stabilire una solida presenza. Gli alleati della Turchia in Libano che già esistono e quelli potenziali, sono più pronti che mai a schierarsi con lei dopo il declino dell’influenza dell’Arabia Saudita nel paese ma anche in Medio Oriente. Inoltre, la popolarità in ribasso dell’ex primo ministro Saad Hariri che aveva l’appoggio della maggioranza dei sunniti e le nette differenze nel campo sunnita libanese diviso in tanti gruppi capeggiati da una miriade di leader di estrazione diversa, offrono uno scenario perfetto all’inserimento della Turchia. Ci sono importanti segnali e indicazioni che fanno pensare ad un riposizionamento dell’ex ministro della giustizia Ashraf Rifi, non più filo-saudita bensì 

Subscribe to get access

Read more of this content when you subscribe today.

L’arrivo del presidente francese ha causato una tempesta in un bicchier d’acqua. La classe politica libanese è tuttora forte anche se purtroppo non è riuscita a ricostruire il paese in tanti decenni e quando viene accusata di corruzione si nasconde dietro il sistema settario. Uno stacco però si è creato tra questi politici e la popolazione che lentamente si sta svegliando. Quello che Macron propone di fare sono solo mosse temporanee che compensano il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Ma la Francia non è certamente in grado di eliminare nemmeno una piccola parte dell’attuale deficit del paese, 81 miliardi di dollari. Tutto quello che il presidente Macron è riuscito a raccogliere non arriva neppure a 300 milioni, insufficienti anche solo a riparare una parte di ciò che è andato distrutto nell’esplosione del porto di Beirut. Per cui se mettiamo insieme questo ammanco finanziario e il ruolo degli Stati Uniti dopo le elezioni del 3 novembre, è molto improbabile che Parigi possa raggiungere ciò che si era prefissa in Libano. 

Copyright © https://ejmagnier.com 2020 

Advertisements
Advertisements
Advertisements