L’Iran rifiuta l’operazione di “chirurgia estetica” americano-irachena ma lascia aperto uno spiraglio per la collaborazione con gli Stati Uniti 4/6

Dall’Iraq, Elijah J. Magnier 

Tradotto da A.C. 

Agli Stati Uniti restano due opzioni per decidere la loro politica nei confronti dell’Iran. La prima è quella di mantenere le dure sanzioni imposte da Donald Trump mettendo in conto che l’Iran raggiungerebbe in breve tempo le capacità nucleari militari e, in parallelo, potenzierebbe senza limiti di sorta i suoi alleati. Malgrado la loro potenza militare sia indubbiamente superiore, gli Stati Uniti non possono impedire all’Iran di bombardare, con i suoi missili di precisione a lunga gittata, le loro numerosissime basi militari che circondano la “Repubblica Islamica”. L’Iran ha anche la possibilità di chiudere lo stretto di Hormuz, vitale e strategico, e di raggiungere il Mar Rosso ovvero quell’alternativa presa in considerazione dagli Stati Uniti e dai suoi alleati perché ritenuta più sicura in caso di guerra con Teheran. Non va neppure dimenticato che gli alleati dell’Iran hanno chiarito che una guerra contro la “Repubblica Islamica” vedrebbe la partecipazione di tutta l’ “Asse della Resistenza”. Significa ovviamente che il teatro delle operazioni si estenderebbe, coinvolgendo una gran parte del Medio Oriente. Pertanto questa possibilità di una guerra all’Iran viene esclusa così come era già stata scartata più di un anno fa, quando Teheran bombardò la più grande base militare americana in Iraq, Ayn al-Assad, e non ci fu risposta da parte di Washington. 

La seconda opzione è quella di revocare tutte le sanzioni e abbassare la tensione in Medio Oriente su tutti i fronti. L’amministrazione americana potrebbe essere pronta per iniziare a togliere le sanzioni proprio per evitare che l’Iran si avvii a tutta velocità verso lo sviluppo del nucleare a livello militare. Ma il presidente Joe Biden e la sua squadra esitano, forse perché hanno altre priorità in agenda anche se nei loro commenti dicono che la diplomazia è l’unica soluzione per l’accordo sul nucleare. 

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L’Iran non sta certamente fermo in attesa che gli Stati Uniti decidano. Continuerà sulla via del nucleare dipendendo sempre meno dal petrolio (sotto sanzioni) come fonte principale di entrate come lo è per la maggior parte degli stati arabi (Iraq, Arabia Saudita, Emirati e Bahrein). L’Iran ha chiarito che l’accordo sul nucleare non è collegato ad alcun altro argomento che interessa gli Stati Uniti in Medio Oriente anche se ha  comunicato di essere pronto a partecipare a colloqui separati su altre  questioni in caso di revoca delle sanzioni. Sarà possibile solo se gli Stati Uniti rispetteranno l’accordo come era stato firmato nel 2015, quell’accordo che il presidente Donald Trump ha revocato unilateralmente nel 2018. 

Il presidente Joe Biden ha fatto capire di non essere pronto ad andarsene dalla Siria e dall’Iraq e non ha una politica chiara o una strategia per i due paesi così è probabile che mantenga lo status quo. Ciò significa che se da una parte (la questione del nucleare) la tensione tra Stati Uniti e Iran si allenta, in altre arene persisterà, forse meno forte di prima. Per l’Iran l’arena migliore per combattere gli Stati Uniti (anche se non l’unica) sembra essere la Mesopotamia dove può contare su numerosi e forti alleati sempre disposti a contrastare (e a insidiare) le truppe statunitensi, indifferenti alle eventuali perdite che potrebbero avere. 

Dopo l’ultimo attacco alle truppe degli Stati Uniti il presidente Biden ha reagito in modo inaspettato. Il suo segretario alla difesa non è caduto nella trappola e ha deciso di non colpire le milizie irachene. Parrebbe che l’esercito degli Stati Uniti stia imparando a evitare le ritorsioni e il tranello del “rendere pan per focaccia”  Per quanto tempo ancora il Pentagono  tollererà gli attacchi e porgerà l’altra guancia? Il presidente Joe Biden continuerà a voler tenere le sue truppe in Iraq? 

Molto probabilmente no. Un ritiro parziale o totale delle truppe potrebbe essere un’opzione per gli Stati Uniti se riescono a restare in altre forme. Molti dirigenti iracheni soprattutto leader politici sciiti, inclusi quelli vicini all’Iran, parlano di un cambio di bandiera (forze della NATO in sostituzione di quelle americane) di cui si sta già discutendo. Ma questa operazione di “chirurgia estetica” sebbene venga ipotizzata da entrambe le parti (Stati Uniti e Iraq) non sarà accettata dall’Iran e dai suoi alleati in Iraq. Lo scollamento tra i politici e la resistenza è enorme. E’ probabile che i gruppi armati iracheni siano pronti ad afferrare qualunque possibilità per far presente agli americani che dovrebbero andarsene dal paese e potrebbero farlo attaccando i loro convogli in viaggio tra le province irachene. 

Per Teheran un “ contingente della NATO europeo” significa comunque un comando statunitense anche se mascherato dalla presenza europea. E quindi per la “Repubblica Islamica”  la minaccia rappresentata dagli Stati Uniti persiste. Quali possono essere le scelte dell’Iraq in questo caso? Perché gli Stati Uniti e l’Iran hanno queste grandi difficoltà ad incontrarsi su un terreno comune e rischiano così che l’odio continui a farla da padrone? 

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