Gli Stati Uniti e Israele si stanno preparando ad una guerra in Medio Oriente? (1/2 Iran)

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Da quando Donald Trump è presidente, gli Stati Uniti hanno cambiato la loro politica; hanno smesso di praticare la guerra direttamente, mandando cioè le loro truppe nei paesi dove volevano cambiare i regimi, per passare ad una cosiddetta “ guerra di strangolamento” più morbida e meno costosa. Questo non significa che l’amministrazione Trump abbia abbandonato le minacce di un intervento militare nei confronti di quei paesi che si oppongono alla sua egemonia. Il famoso slogan americano “all options are on the table” ovvero “prendiamo in considerazione tutte le possibilità” viene ancora usato per intimidire stati e regimi in tutto il mondo. E’ una “diplomazia grossolana” ,un nuovo stile adottato da Trump. Infatti lui basa la sua politica sulla riduzione delle spese all’estero cercando di spillare soldi ai suoi alleati in Medio Oriente, quei paesi ricchi grazie al petrolio come l’Arabia Saudita. Saranno in grado, gli Stati Uniti, di attuare questa politica con l’Iran e riusciranno a piegare Teheran al loro volere tramite questa “diplomazia grossolana” o terranno invece le loro opzioni sul tavolo limitandosi ad un intervento sul genere di quello effettuato da Trump in Siria, quindi mirato ad obbiettivi prestabiliti? 

Molti analisti politici ritengono che una guerra condotta da Stati Uniti e Israele contro l’Iran e il Libano sia molto probabile malgrado manchino segnali evidenti che sia in preparazione. Anche se l’apparato militare potrebbe essere messo in moto velocemente dopo la decisione di intraprenderla, tutto fa però pensare ad una potenziale guerra non militare per la semplice ragione che la “guerra di strangolamento “ portata avanti dagli Stati Uniti non comporta dei costi all’amministrazione americana e risponde perfettamente agli obbiettivi del suo alleato principale in Medio Oriente, Israele. Tuttavia c’è stato uno scambio di lettere minacciose tra le parti coinvolte che paiono  pronte ad affrontare il peggio. 

Per quel che riguarda l’Iran, l’ “azzeramento delle esportazioni di petrolio ”  che gli Stati Uniti vorrebbero imporgli dal 1° di maggio, sarebbe quasi certamente un traguardo impossibile da raggiungere. Non sarebbe sicuramente facile per i paesi membri dell’ OPEC riuscire a compensare i due milioni di barili di petrolio iraniano giornalieri (la produzione totale giornaliera è di 3,45 milioni) come vorrebbe il presidente Donald Trump. L’obbiettivo degli Stati Uniti è quello di piegare l’Iran e obbligarlo a sedersi al tavolo dei negoziati perché accetti tutto ciò che serve a garantire la sicurezza di Israele in Medio Oriente. E’ un obbiettivo che nessuna amministrazione americana è mai riuscita a raggiungere dal 1979, l’anno in cui è avvenuta la “Rivoluzione Islamica” in Iran, nonostante gli abbia imposto le sanzioni per quarant’anni. 

L’ Iran confina con il Pakistan, l’Iraq e la Turchia. E’ facile rifornire questi paesi di greggio di alta qualità iraniano a prezzo più conveniente di quello ufficiale di mercato. Durante le amministrazioni di Bush e Obama, l’Iran ha sempre esportato il suo petrolio che è stato pagato con moneta forte o con oro nonostante le sanzioni. 

La Cina inoltre, ha bisogno di 650.000 barili al giorno. Molte compagnie cinesi offrono tecnologia, servizi industriali e trattano con compagnie iraniane fornendo le loro competenze e i loro prodotti in cambio di petrolio e non hanno la minima intenzione di fermare questi commerci. Soltanto questo basterebbe a far fallire l’obbiettivo americano di ridurre a zero le esportazioni, (sempre che la Cina non accetti di adeguarsi per favorire i suoi colossali scambi commerciali), e non dovrebbe  necessariamente portare ad uno scontro militare.

Il presidente Trump non pare per nulla disposto a coinvolgere le sue truppe in una guerra globale anche se ha la sfacciataggine di chiedere all’Arabia Saudita di finanziarla. Dovrebbe cercare altri successi in Medio Oriente di cui vantarsi per poterli sfruttare nella campagna elettorale che potrebbe garantirgli un secondo mandato nel 2020. L’attuale amministrazione americana, come peraltro quelle precedenti, facilmente non riuscirà a piegare l’Iran nonostante le dure sanzioni che gli ha imposto. Neppure ce la farà ad obbligarlo a bloccare l’appoggio che garantisce ai suoi alleati in Medio Oriente (il Libano, l’Iraq, La Siria, l’Afganistan e lo Yemen). Il sostegno che l’Iran dà agli stati e ai soggetti non statali della regione è un obbligo auto-imposto presente in molti articoli della sua costituzione. 

L’Iran, tra le altre cose, non sarà mai d’accordo a concedere le ispezioni delle sue industrie missilistiche o ancor peggio a fermarne la produzione come da richiesta americana. I missili sono per l’Iran il più efficace deterrente per i suoi potenziali nemici. E in ultimo, l’Iran, così come i suoi alleati in Medio Oriente, non abbandonerà la causa palestinese fino a quando anche l’ultimo gruppo palestinese non decida di lasciare il proprio territorio a Israele. Pertanto Trump dovrebbe accontentarsi, come risultato del suo primo mandato, dei “regali” che ha fatto al primo ministro Benjamin Netanyahu : Gerusalemme e le alture siriane del Golan occupate. 

Negli anni a venire l’Iran sicuramente sentirà il peso delle dure sanzioni americane, dovrà tagliare parecchie spese e cercare alternative per rendersi più indipendente. E’ anche molto probabile che Trump riesca ad agguantare un secondo mandato così come è prevedibile che gli Stati Uniti possano avere in futuro un presidente del suo stampo, anche lui ostile nei confronti dell’Iran. 

La prova di forza tra Stati Uniti e Iran probabilmente non si attenuerà finché Trump sarà al potere, perlomeno fino a quando non sarà disposto a venire incontro a due condizioni poste dall’Iran per riprendere i negoziati : togliere le pesanti sanzioni che ha imposto al paese e onorare gli impegni presi dal suo predecessore Barak Obama con il trattato nucleare. Sembrerebbe proprio che Trump non sia in grado di accettare la fine dell’egemonia americana nel mondo. Comunque, gli Stati Uniti eviteranno un attacco punitivo diretto che porterebbe alla chiusura dello stretto di Hormuz, una minaccia ventilata ripetutamente dall’Iran. Se la situazione dovesse andar fuori controllo, potrebbe ripresentarsi lo stesso scenario del 2008, quando il prezzo di un barile di petrolio era arrivato a ben 145,93 dollari, o anche uno peggiore.

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