Quale potrebbe essere il ruolo dell’Iraq in uno scenario di guerra tra Stati Uniti e Iran?

Di Elijah J. Magnier: ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Non è possibile dare una risposta chiara alla domanda su quale sarà il ruolo che avrà l’Iraq in caso di guerra tra Stati Uniti e Iran. La risposta dipende dal livello delle minacce che l’Iran dovrà affrontare e quanto agguerriti si dimostreranno gli Stati Uniti. Ci sono due fattori fondamentali da prendere in considerazione: il Marjaiya (la più alta autorità religiosa sciita) che rispecchia la volontà di una gran parte della popolazione e il governo iracheno. 

Una fonte a Najaf dice che il Marjaiya vorrebbe che “ le relazioni con gli attori regionali ( Iran, Arabia Saudita, Kuwait, Turchia , Siria) e con la comunità internazionale (Stati Uniti, Europa e il resto del mondo) fossero basate su un rapporto di equilibrio senza privilegiare o preferire una parte contro un’altra, tenendo in considerazione quelli che sono gli interessi dell’Iraq e i suoi vantaggi”. 

Il Marjaiya crede che “ gli interessi dell’Iraq debbano venire prima di tutto e l’Iraq non dovrebbe partecipare alla lotta tra Iran e Stati Uniti perché non è una lotta basata sull’ideologia; gli Stati Uniti non intendono sconfiggere gli sciiti e neppure attaccare i loro santuari in Medio Oriente. La lotta tra l’Iran e gli Stati Uniti è uno scontro di potere ed è legata al mercato del petrolio. Perciò l’Iraq non dovrà schierarsi in una lotta di questo tipo ma neppure attenersi agli ordini che arrivano dagli Stati Uniti”. 

Durante l’ultima visita fatta dal presidente Hassan Rouhani a Najaf, il Grande Ayatollah Sayyed Ali Sistani aveva detto chiaramente che non avrebbe voluto vedere l’Iraq coinvolto in altre guerre sul suo territorio e che il paese non avrebbe dovuto diventare uno strumento per  circondare l’Iran e i suoi cittadini. Un Iraq forte va a vantaggio dell’Iran: questi erano stati i messaggi. 

Il governo iracheno percorre  la stessa strada del Marjaiya, convinto che oggi l’Iraq stia cominciando a venir fuori da quelle sanguinose guerre e rivolte che, dal 2003, hanno bloccato la sua economia. Il governo del primo ministro Adel Abdel Mahdi sta infatti cercando di rimettere in piedi il paese. 

Il primo ministro iracheno non appartiene a nessuno dei partiti più importanti che hanno potere tra la gente comune, nel parlamento, tra le forze di sicurezza e nel governo. Abdel Mahdi è stato scelto come “candidato del compromesso”per rimuovere il partito al-Da’wa che governava il paese dal 2005. Avere un candidato di questo tipo a capo del governo ha comunque i suoi svantaggi, perché lo rende vulnerabile nei confronti dei “ partiti squali”. Il primo ministro sta cercando di ricostruire l’Iraq ma allo stesso tempo non è in grado di affrontare i vari gruppi armati sparsi sul territorio iracheno a causa della continua minaccia rappresentata dall’ISIS. 

Questi gruppi non fanno parte di Hashd al-Shaabi (le Unità di Mobilitazione Popolare- PMU) come viene erroneamente ripetuto dai mezzi di informazione e dagli analisti e persino dagli esperti di Iraq. Sebbene Hashd al-Shaabi siano comandate da un uomo fedele all’Iran, Abu Mahdi al-Muhandes, obbediscono agli ordini del primo ministro. I partners dell’Iran in Iraq come “Asaeb Ahal al-Haq”, “Kataeb sayyed al-Shuhada”, “Harakat al-Nujaba”, “Kataeb Imam Ali”, “Hezbollah Iraq”, hanno combattuto sotto la bandiera di Hashd al-Shaabi ma hanno rotto i rapporti con loro subito dopo la fine della guerra all’ISIS, quando sono iniziate le elezioni parlamentari. Secondo la costituzione irachena, alle forze armate non è permesso prendere parte alle elezioni. Molti combattenti sono stati così immessi nei ministeri dell’interno e della difesa. Hashd al-Shaabi si è trasformata in una brigata irachena e fa parte del corpo della sicurezza agli ordini del primo ministro. 

Tuttavia i gruppi armati che operano al di fuori di Hashd al-Shaabi si considerano leali all’Iraq e all’Iran. Non sono ben visti dal Marjaiya, dal primo ministro Abdel Mahdi e da gran parte della popolazione, soprattutto a Najaf e Baghdad dove hanno la loro base. Per il momento vengono considerati una necessità ma anche un peso. 

L’Iraq guarda con sospetto lo schieramento degli Stati Uniti a al-Tanf e sui confini siro-iracheni accusandoli di chiudere un occhio sulla presenza dell’ISIS e sulla sua possibile espansione. Ci sono dei buoni motivi che giustificano questo atteggiamento: 

Nei primi mesi dell’occupazione dell’ISIS di Mosul, nel nord dell’Iraq, nel 2014, l’amministrazione americana non è intervenuta in aiuto del governo iracheno che cercava di impedirgli di conquistare un terzo dell’Iraq e di minacciare Baghdad e Erbil. Il generale americano Michael Flynn, ex capo della DIA ( agenzia militare d’intelligence per l’estero) confermava infatti che gli Stati Uniti permettevano all’ISIS di crescere e di spostarsi in Siria sotto i loro occhi. Il presidente Trump permetteva all’ISIS di espandersi lungo il fiume Eufrate per un anno e impediva all’esercito siriano di attraversare il fiume per riconquistare il territorio. Nel giugno 2018, poi, le truppe americane lasciavano che Israele bombardasse e uccidesse 22 uomini di Hashd al-Shaabi schierati contro l’ISIS al confine iracheno. Ancora oggi le forze degli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di andarsene dal confine siro-iracheno e mantengono un perimetro di sicurezza che secondo l’Iraq e la Siria offre la possibilità all’ISIS di transitare nella zona. 

Questa mancanza di fiducia nei confronti degli Stati Uniti blocca Abdel Mahdi e gli impedisce di disarmare quelle milizie che non fanno più parte di Hashd al-Shaabi ma sono considerate ancora utili, fino a quando l’esercito iracheno e le forze di sicurezza non avranno il permesso degli americani di riprendersi completamente il loro territorio. 

L’amministrazione americana ha rilasciato un comunicato per l’evacuazione parziale del suo staff diplomatico a Baghdad e al consolato del Kurdistan iracheno. Secondo fonti ben informate a Baghdad, gli alleati iracheni dell’Iran stanno mandando messaggi in cui informano che si stanno preparando ad attaccare le truppe e le sedi diplomatiche americane in Iraq. Gli ufficiali dell’IRGC e i loro partners iracheni sanno bene che gli Stati Uniti sono in grado di intercettare le loro comunicazioni e usano questa conoscenza per mandar loro messaggi e metterli in allarme. Queste comunicazioni telefoniche insieme ad altre informazioni raccolte non possono essere sottovalutate dall’intelligence e dall’amministrazione americana che hanno il compito di salvaguardare i loro cittadini. Dall’altra parte, le misure americane servono agli scopi dell’Iran per far capire agli Stati Uniti quello a cui andrebbero incontro e quali fronti dovrebbero prendere in considerazione in caso di guerra. 

E’ vero che l’Iran preferirebbe che a combattere fossero i suoi alleati e non il suo esercito o le IRGC, se possibile. Tuttavia un Iraq instabile non aiuta l’Iran a contrastare le sanzioni americane. Se gli alleati dell’Iran attaccassero le forze americane in Iraq solo per “mandare un messaggio”, il Marjaiya, gli iracheni e il governo di Baghdad non sarebbero d’accordo, a meno che l’Iraq non venisse attaccato direttamente e la guerra (eventuale) non si sviluppasse a sfavore dell’Iran. In questo caso, tutti gli alleati dell’Iran nel Medio Oriente, non solo l’Iraq, sarebbero coinvolti. 

Il primo ministro iracheno e il Marjaiya non approverebbero l’uso del territorio iracheno da parte degli Stati Uniti per attaccare il Khuzestan o altre parti dell’Iran. Così come non permetterebbero all’Iran di usare l’Iraq come piattaforma per condurre la loro guerra contro gli Stati Uniti fintanto che non sia dichiarata guerra. 

Abdel Mahdi in silenzio sta mediando tra Stati Uniti e Iran, cercando di ammorbidire le tensioni. L’Iraq terrà aperti i confini per il passaggio delle merci iraniane e pagherà l’Iran in euro e non in dollari, il che va benissimo all’Iran. 

Le intenzioni degli Stati Uniti non sono chiare per nessuno in Medio Oriente, neppure alla leadership irachena. L’attuale amministrazione si sente libera di revocare qualunque accordo firmato in precedenza. Trump ha cambiato idea più volte sulla presenza delle sue forze in Siria. La sua mancanza di considerazione per gli alleati europei e mediorientali non ispira nessuna fiducia. E infine, la presenza delle truppe americane sul confine tra Siria e Iraq è una delle prime cause, per Baghdad, di preoccupazione e sfiducia rispetto alle intenzioni degli Stati Uniti. 

Fino a quando l’Iran non sarà coinvolto direttamente in una guerra con gli Stati Uniti, i suoi partners colpiranno gli alleati degli americani in Medio Oriente. L’Iran sta evitando attentamente le provocazioni militari per non dare  pretesti all’amministrazione americana di scatenare una guerra. Gli Stati Uniti in Iraq dovrebbero iniziare a dare fiducia al governo. Questo comporterebbe andarsene da al-Tanf al confine con la Siria e continuare ad appoggiare il governo iracheno con l’addestramento militare, lo scambio di informazioni e il rifornimento di armi. 

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