
Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai
La scorsa settimana, in Iraq e in Libano, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto saltare tutte le Regole d’Ingaggio (ROE) in vigore mostrando di essere pronto alla guerra e addirittura intenzionato a scatenarla. Per la prima volta dopo il 2006 i suoi droni hanno violato le vecchie regole d’ingaggio: un drone israeliano è esploso in un sobborgo a sud di Beirut in circostanze poco chiare. Malgrado questa mancanza di chiarezza e nonostante l’obbiettivo e le circostanze dell’attacco non fossero per niente scontati, il leader di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah qualche ora dopo prometteva di attaccare Israele in risposta all’uccisione di due membri di Hezbollah in Siria. Ora Netanyahu ha fatto il bis. I droni israeliani hanno colpito una base del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina- Comando Generale (FPLP-GC) nella valle della Bekaa in Libano. Ovviamente questo attacco indica chiaramente che Netanyahu ha accettato la sfida lanciata da Nasrallah e le conseguenze che ne potrebbero derivare. Ma indica anche che la politica provocatoria di Israele procede spedita, quel suo “ braccio lungo” che dicono sia pronto a raggiungere qualunque bersaglio (senza nessuna eccezione!) e quell’irresistibile desiderio di camminare pericolosamente sull’orlo del precipizio che potrebbe portare alla guerra.
Per quanto riguarda l’esplosione di un drone suicida in periferia a Beirut si possono avere dubbi soprattutto perché dal punto di vista dell’intelligence e militare l’obbiettivo parrebbe insignificante (ha danneggiato un edificio vuoto che ospita l’ufficio delle pubbliche relazioni di Hezbollah), così hanno riportato i mezzi di informazione. Tuttavia tutti sanno che Israele non rischierebbe una guerra con Hezbollah dopo 13 anni di astinenza senza colpire qualcosa di importante, degno di una scontata reazione. Molto probabilmente il primo ministro Netanyahu ha valutato che distruggere un bersaglio nella periferia di Beirut con un drone suicida potrebbe risparmiare molte vite israeliane e che la morte di qualche soldato israeliano come “danno collaterale”, (inevitabile conseguenza di una vendetta di Hezbollah) potrebbe essere una perdita accettabile.
Ma è assai improbabile che l’intelligence israeliana abbia sbagliato a identificare l’obbiettivo colpito a Aqraba, a 15 km di distanza dall’aeroporto di Damasco, usato come base da Hezbollah in Siria. Israele potrebbe aver identificato erroneamente l’edificio come una base dell’ IRGC, ovvero del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane ( è facile immaginare che dovunque si trovi l’IRGC ci sia anche Hezbollah), un errore che ha provocato l’uccisione di due membri di Hezbollah.
Al di là di queste inverosimili considerazioni, il bombardamento di una base palestinese poco significativa da parte di un aereo israeliano assume il significato di un messaggio intimidatorio piuttosto che un bersaglio d’intelligence. Ci dice che Netanyahu ha accettato la sfida di Nasrallah e porterà avanti la sua politica aggressiva.
Infatti Israele sta colpendo centinaia di obbiettivi in Siria e adesso pare che abbia iniziato a farlo anche in Iraq e in Libano. Questo comportamento è dovuto a tre importanti obbiettivi che Israele ha e che sono strettamente legati alla sua esistenza: costruire un esercito che unisca la popolazione ebrea al governo, partecipare quando possibile a “ battaglie tra le guerre”( condurre cioè attacchi e partecipare a piccole battaglie mentre la guerra vera avviene in un paese vicino oppure prima che la guerra avvenga) e infine colpire tutti quei bersagli che possono rappresentare un pericolo per l’esistenza di Israele in qualunque parte del mondo.
Non è una novità che Israele colpisca bersagli vicini a lui ma anche molto lontani. Il Libano, la Siria, l’Iraq, l’Iran, lo Yemen, la Giordania e l’Egitto sono i primi nella sua lista, tutti gli altri paesi del mondo vengono dopo ma è comunque importante tenerli sott’occhio.
Nel 1960 Israele riuscì a sequestrare Adolf Eichmann a Buenos Aires, lo processò e, giudicato colpevole di crimini nei confronti del popolo ebraico, lo condannò a morte.Nel 1973 Israele mandava una squadra di sicari a Beirut per uccidere i leaders palestinesi Kamal Idwan, Kamal Nasser e Mahmoud Youssef Najjar. Ben 15 leaders e intellettuali palestinesi furono assassinati, tra questi Mahmoud al-Hamshari a Parigi, Naim Khader in Belgio e Wael Zuaiter a Roma. Nel 1988 agenti israeliani furono mandati in Tunisia per uccidere il comandante palestinese Khalil al-Wazir conosciuto come Abu Jihad, uno dei fondatori dell’OLP ( Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
Nel 1981, quattordici aerei israeliani attaccavano e distruggevano un impianto nucleare in Iraq dopo aver sorvolato gli spazi aerei giordano e saudita. Nel 2007 Israele radeva al suolo un impianto in Siria sospettando che vi venissero sviluppati progetti nucleari.
Nel 2008 Israele assassinava in Siria il capo militare di Hezbollah e vice comandante del consiglio militare della jihad Imad Mughnniyeh. Nel 2010 una numerosa squadra di sicari veniva mandata negli Emirati e a Dubai riusciva ad uccidere il comandante di Hamas Mahmoud al-Mabhouh. Inoltre Israele non esitava ad uccidere scienziati nucleari iraniani “per impedire all’Iran di avere ordigni nucleari”.

Tutti questi esempi vengono citati per dimostrare come Israele non abbia assolutamente rispetto dei confini e della sovranità altrui, solo della sua. Con il pretesto di “proteggere la sua sicurezza nazionale” dalle minacce presenti e future, Israele prende l’iniziativa e attacca per primo.
Israele identifica quelli che lui ritiene siano dei pericoli, localizza i bersagli e cerca di eliminarli prima che i rischi aumentino. Questa è l’ideologia israeliana della guerra permanente; Israele ragiona in termini di capacità militari, le sue, con poca o meglio nessuna considerazione per le leggi internazionali o le frontiere. Israele si considera circondato da paesi ostili anche se l’ultima guerra tra arabi e israeliani risale al 1973, la guerra dello Yom Kippur ( ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell’espiazione). Da allora Israele, di sua iniziativa, ha attaccato il Libano (tre guerre), la Siria e l’Iraq.
Israele fa affidamento sul suo principale “alleato” (gli Stati Uniti d’America) per assicurarsi lo status di superiorità, per minacciare e intimidire i paesi circostanti direttamente o indirettamente. In caso di guerra può appoggiarsi all’intelligence americana per colpire i suoi bersagli e utilizzare il peso diplomatico di Washington per raggiungere i suoi scopi militari ma anche per arrivare ad un cessate il fuoco se la guerra non è più a suo favore. Il fatto di avere l’apparato militare più tecnologicamente avanzato e una eccellente produzione industriale a livello militare ed elettronico unita alle competenze, gli permette di tenere in pugno la situazione in Medio Oriente. Come se non bastasse, Israele può contare sulla protezione dei mezzi di informazione occidentali e, a livello internazionale, le sue azioni vengono giustificate sempre con il solito pretesto, il “diritto di difendersi”.
La guerra contro l’Iran ebbe inizio quando Israele iniziò ad assassinare gli scienziati iraniani nel 2010. Gli attacchi contro il “cortile di casa” dell’Iran raggiunsero il culmine durante la guerra del 2006 in Libano senza però che Israele riuscisse a realizzare i suoi obbiettivi. Quando iniziò la guerra in Siria, Israele decise di dare una mano ai jihadisti nella speranza di interrompere le linee di rifornimento militari dell’ “Asse della Resistenza”. Gli Stati Uniti, per conto di Israele, negoziarono per ottenere l’eliminazione delle armi chimiche in Siria e “favorirono” la creazione di un posto accogliente nel nord-est occupato (della Siria), tra la popolazione curda.
Il fatto che il presidente Bashar al-Assad non abbia risposto prontamente alle sue centinaia di attacchi, ha fatto sì che Israele astutamente cercasse di paralizzare l’esercito siriano. Ormai le violazioni dei cieli siriano e libanese sono diventate un “diritto di Israele” e il bombardamento delle capacità militari dell’esercito siriano viene giustificato come un attacco ai “depositi iraniani di armi” nel Levante.
Tel Aviv adesso si è spostata in Iraq, cortile di casa dell’Iraq per attaccare le forze di sicurezza regolari della Polizia Federale e di Hashd al-Shaabi che sono ostili a Israele. I dirigenti israeliani sanno che l’Iran ha creato una forte ideologia in Iraq che è stata lo strumento per affrontare e sconfiggere l’ideologia simile ma opposta dello “Stato Islamico” che riusciva ad occupare un terzo dell’Iraq nel 2014. I legami e la cooperazione tra alcuni di Hash al-Shaabi e altre organizzazioni irachene da un lato e gli Hezbollah del Libano dall’altro, non sono certo un segreto. Sembra che Israele abbia distrutto i depositi delle forze di sicurezza irachene per eliminare i missili strategici che potrebbero essere usati dall’Iraq in caso ci fosse una guerra degli Stati Uniti contro l’Iran.
“Israele può distruggere uno, due, cento depositi su mille esistenti. Per Israele questo significa centinaia di missili in meno che verranno lanciati contro di lui in caso di guerra. Questo è l’approccio di Israele a tutto ciò che lui considera una potenziale minaccia” ha detto uno di quelli che prendono le decisioni nell’ “Asse della Resistenza”.
Non c’è dubbio che Israele sia in grado di impedire all’ “Asse della Resistenza” di armarsi e sviluppare le sue capacità militari. Ma le spedizioni iraniane arrivano ai nemici di Israele malgrado le centinaia di attacchi andati in porto. La soluzione potrebbe davvero essere semplicissima : Israele dovrebbe smettere di fare la guerra ai suoi vicini. Purtroppo questo modo di ragionare non corrisponde alla politica di Israele o alla sua ideologia.

Per contro Teheran non vede con entusiasmo la possibilità di essere trascinata in una guerra con Israele anche se il suo “cortile di casa” viene attaccato. “Non ci lasceremo affascinare da una battaglia con Israele se ci vengono imposti i tempi. Le provocazioni sono tollerate finché restano in una dimensione accettabile. La perdita di decine di missili non vale una guerra quando la priorità è quella di non puntare i fucili contro Israele. Ci sarà sempre la possibilità di rispondere in futuro” ha detto la fonte.
“Da due anni a questa parte, Israele è stato l’unico paese al mondo ad uccidere gli iraniani” ha detto il ministro israeliano Tzachi Hanegbi. Israele ha ucciso molti iraniani in Siria e tantissimi alleati dell’Iran. Nonostante le centinaia di attacchi però, l’Iran e i suoi alleati hanno vinto la guerra in Libano nel 2006, quella in Siria, in Iraq e in Yemen. L’Iran non avrebbe mai potuto illudersi, anche nei suoi sogni più assurdi, che i suoi fronti strategici si sarebbero uniti tutti saldamente intorno a lui, diventando il suo scudo o i suoi compagni contro una possibile aggressione alla “Repubblica Islamica”. In questo caso, chi sarebbe il vincitore strategico e quanto sarebbero efficaci in realtà i bombardamenti israeliani?
Ma c’è anche un altro elemento da tenere in considerazione : le elezioni in Israele. Il primo ministro Netanyahu sta facendo del suo meglio per dipingersi come “il protettore dello stato di Israele”, con un lungo braccio capace di raggiungere i nemici dovunque.
Bisogna riconoscere che Israele ha saputo prevedere quale sarebbe stata la reazione degli alleati dell’Iran in Siria e Iraq. Netanyahu usa efficacemente i consigli del suo comando militare e, destreggiandosi tra le guerre in corso in Medio Oriente, colpisce il “cortile di casa” iraniano senza scatenare una guerra diffusa. Sa perfettamente che la priorità dell’Iran è quella di camminare sull’orlo del precipizio senza finirci dentro a meno che non venga spinto. Netanyahu sa anche che la Siria e l’Iraq per dichiarare guerra a Israele avrebbero bisogno di molta più preparazione di un’organizzazione come Hezbollah in Libano. Per questo è andato avanti nei suoi piani e ha iniziato a colpire uccidendo in Iraq ( i droni hanno colpito e ucciso il comandante di Hashd al-Shaabi a Akashat, Anbar) invece di limitarsi ad attaccare con i droni i depositi strategici.
Netanyahu ha obbligato il leader di Hezbollah a minacciare Israele e a rispondere prendendo di mira i soldati israeliani. Sayyed Nasrallah ha detto che Israele sa qual’è la linea da non oltrepassare e che lui “ha promesso di colpire Israele se i suoi uomini fossero uccisi da Israele in Siria o in Libano”. Il primo ministro israeliano sapeva della minaccia di Nasrallah il che ci fa capire che Tel Aviv è pronta ad andare in guerra. Nasrallah era a conoscenza di questa intenzione e aveva avvertito i suoi uomini mesi fa. Netanyahu potendo contare sull’appoggio illimitato degli Stati Uniti può permettersi di essere più aggressivo e anche più pronto ad andare in guerra.
Ma gli Stati Uniti sono pronti a pagare il prezzo delle avventure di Netanyahu nel “cortile di casa” dell’Iran e precisamente in Iraq? In Siria le forze americane si trovano in un contesto non ostile, nei territori abitati dai curdi. In Iraq invece, dietro ogni angolo o in qualsiasi campo militare dove gli americani addestrano le truppe locali, ci sono elementi pronti a ucciderli. Distruggere i depositi in Iraq potrebbe rovinare le relazioni di Washington con Baghdad e portare al ritiro delle truppe americane dall’Iraq nei prossimi anni. Acquistare attrezzature militari dalla Cina e dalla Russia e non solo dagli Stati Uniti sta diventando d’obbligo per i leaders iracheni.
E’ vero che il primo ministro israeliano si sta fregando le mani, galvanizzato a tal punto dai suoi attacchi riusciti in Iraq da non poter resistere alla tentazione di fare allusioni ad una sua responsabilità. Vedremo se anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sarà felice come Netanyahu dovesse mai perdere qualche soldato in Iraq proprio grazie al suo miglior alleato e consigliere Benjamin Netanyahu.
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