
“ Il Libano a un passo dal collasso”
Institute for Global Studies
17 dicembre 2019
Elijah J. Magnier: @ejmalrai
Tradotto da: Alice Censi
“ Con il segretario di stato Pompeo ho discusso dei tre argomenti di maggior rilievo: l’Iran, l’Iran e l’Iran”, ha detto il primo ministro Benyamin Netanyahu la scorsa settimana a Lisbona.
“ Noi siamo con la popolazione del Libano nella sua lotta contro la corruzione e il terrorismo. Oggi abbiamo indicato i nomi di due importanti uomini d’affari libanesi le cui illecite attività finanziarie sostengono Hezbollah. Continueremo ad usare ogni mezzo a nostra disposizione per contrastare la minaccia rappresentata da Hezbollah “.
Il Segretario Pompeo,13 Dicembre 2019.
Pompeo e Netanyahu parlano di Iran, di corruzione e di terrorismo e delle presunte relazioni di Hezbollah con il terrorismo. Hezbollah, un alleato dell’Iran, è infatti il bersaglio principale degli Stati Uniti in Libano. Corruzione e/o democrazia sono solo esempi della retorica trita e ritrita usata dagli Stati Uniti. Il recente riferimento del presidente Trump al suo “dittatore preferito” ( il presidente dell’Egitto, Sisi) e la sua dichiarazione che “ la monarchia non democratica dell’Arabia Saudita è la nostra migliore alleata” sono la prova di quanto in realtà gli Stati Uniti siano preoccupati per la democrazia.
Questa presentazione dovrà necessariamente affrontare le cause che fanno presagire un futuro caotico per il Libano ma prima di tutto esaminiamo cosa sta succedendo.
Due mesi fa, spinta da una causa comune, la gente ha occupato le strade del Libano, unita, anche se appartenente a fedi religiose e a partiti e/o organizzazioni politiche diverse. Fame e disoccupazione accomunavano i libanesi esasperati da un’annosa corruzione e da governi in mano ad élite politiche e ai loro discendenti. Né gli Stati Uniti né altre potenze straniere apparentemente erano coinvolti in questa rivolta spontanea degli abitanti del Libano.
Questo “legittimo” movimento riusciva a diffondere il panico tra i leader politici, nessuno escluso.
Hezbollah, più di un anno fa, sosteneva che il suo obbiettivo principale nel nuovo governo sarebbe stato quello di combattere la corruzione, un obbiettivo decisamente ambizioso che aveva suscitato grandi critiche tra i suoi nemici ma anche tra i suoi alleati.
Sembrava un traguardo così poco realistico in una società dominata dalla corruzione da così tanto tempo. Vale la pena ricordare che tutti i leader politici corrotti di vecchia data appartengono al campo nemico ma anche a quello amico e alleato di Hezbollah. Così l’obbiettivo di Hezbollah ( combattere la corruzione) si dimostrava impossibile da raggiungere sia nel breve che nel medio periodo.
Hezbollah, che proprio in quei giorni stava iniziando ad organizzare manifestazioni contro la corruzione, venne preceduto dall’ondata spontanea di proteste che si riversava nelle strade del Libano. Ecco perché, all’inizio, tanti pensarono che Sayyed Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah ne fosse il regista.
Ma questa teoria durò pochissimo: gente di ogni estrazione sociale chiedeva riforme serie e tutti i politici erano oggetto di dure critiche.
Il panico si diffuse nelle alte sfere della politica e venni informato di come il presidente e suo genero, il ministro degli esteri Gebran Bassil, fossero sul punto di prendere delle necessarie anche se dolorose (per il loro partito, il Movimento Patriottico Libero) decisioni per il loro futuro. E così sarebbe andata se non fossero stati fermati all’ultimo momento dal loro principale alleato, il leader di Hezbollah.
Con il passare delle settimane le cose nelle strade cambiarono. Il comandante dell’esercito libanese, il generale Joseph Aoun, si rifiutava di intervenire informando tutti che l’ambasciata degli Stati Uniti stava facendo pressione sull’esercito chiedendogli di tenersi lontano dalle manifestazioni e di non intervenire per nessun motivo. Un fidato assistente militare del generale mi diceva che un rappresentante degli Stati Uniti chiamava il generale Aoun “ Signor Presidente” stuzzicando in questo modo le ambizioni del capo dell’esercito di diventare il futuro presidente: il sogno di tutti i cristiani maroniti che hanno potere in Libano.
La mancanza di intervento da parte dell’esercito agevolava la presenza nelle strade di altre componenti, ognuna con un suo chiaro programma incompatibile con l’altro : le “Forze Libanesi” filoamericane e filosaudite capeggiate da Samir Geagea e i seguaci del primo ministro Saad Hariri. Geagea fu il primo a presentare le dimissioni dei suoi ministri e a spingere i suoi uomini nelle strade contribuendo non poco a creare il caos. Hariri invece puntava a consolidare le sue provocatorie richieste politiche. Il primo ministro provvisorio Saad Hariri avrebbe voluto silenziare la maggioranza in parlamento ( che ha 73 membri) e formare un governo di tecnici scelti da lui nonostante sia a capo di soli 21 membri del parlamento su 128.
Alcune settimane fa Hezbollah informava il presidente che i suoi uomini sarebbero intervenuti solo per rompere i blocchi delle strade e delle zone abitate dagli sciiti se i facinorosi avessero continuato a circondarle. La strada principale che da Beirut porta al sud del Libano, quelle attorno alle periferie della capitale e che vanno nella valle della Bekaa erano tutte bloccate dai sostenitori di Hariri e Joumblatt.
La decisione di Hezbollah metteva in allarme il presidente perché avrebbe potuto creare una spaccatura tra le forze armate e innescare uno scontro tra le due scuole musulmane. Aumentavano così le possibilità di un conflitto interno. Nella notte, con l’accordo di tutti i leader politici, veniva presa una decisione : l’esercito avrebbe fatto in modo di aprire tutte le strade più importanti e avrebbe protetto i manifestanti.
Il Libano è incredibilmente fragile: anche una lunga guerra civile (1975-1989) non è bastata a sradicare l’odio settario. Il paese resta terreno fertile per un’altra guerra interna soprattutto tra le due scuole musulmane, i sunniti e gli sciiti. La situazione libanese non rispecchia quella dei paesi vicini, la Siria e l’Iraq.
E riguardo alla situazione finanziaria c’è da dire che gli Stati Uniti possono fare ben poco per il deficit del Libano che ammonta a 86 miliardi di dollari. Di sicuro chi protesta difficilmente riuscirà a ottenere ciò che chiede e a destituire l’intero governo, il parlamento e il presidente. C’è bisogno di un governo che agisca e proponga nuove leggi anticorruzione, dia potere al sistema giudiziario e suggerisca una nuova legge elettorale al parlamento.
Il parlamento che è composto dagli stessi politici rifiutati e attaccati dai manifestanti dovrebbe approvare o correggere i suggerimenti del governo sulle nuove leggi. Praticamente i rappresentanti della popolazione che fanno parte dell’élite accusata di corruzione, sono quelli che dovrebbero mettere in pratica le riforme.
Saad Hariri il cui defunto padre aveva guidato il sistema corrotto del Libano dal 1982 per 10 anni non consecutivi prima di essere assassinato nel 2005, ha ricoperto per cinque anni il ruolo di primo ministro del paese. Oggi si presenta come l’unico candidato che ha l’appoggio totale dei suoi sostenitori. E’ accusato di far parte del sistema corrotto così come lo “Speaker” Nabih Berri (che è in carica da 27anni), il leader druso Walid Jumblatt e molti altri.
Questa settimana si attendeva la nomina a primo ministro, fatta dal presidente Aoun, proprio di Saad Hariri. Questo malgrado il rifiuto del ministro degli esteri Bassil a partecipare e la decisione di Hezbollah di accettare Hariri come primo ministro anche senza una nomina scaturita dalle obbligatorie consultazioni che avvengono prima. Hariri stava per essere nominato nuovo primo ministro quando è avvenuto il colpo di scena: il suo supposto alleato, Samir Geagea gli negava il suo appoggio. Bisognava quindi trovare un nuovo candidato all’interno della comunità sunnita. Ma neppure un miracolo potrebbe far uscire il Libano dalla seria crisi finanziaria in cui è immerso, indipendentemente da chi guidi il paese.
Non stupisce che la moneta locale abbia perso valore. Chi ha investito in monete straniere e anche chi le ha depositate nei conti, parliamo soprattutto di dollari americani, è vittima delle spese fatte dalla banca centrale per impedire l’ascesa della moneta locale nei confronti del dollaro. Chi possiede le lire libanesi si ritrova a perdere una grossa fetta dei suoi risparmi, una situazione che non fa altro che aggiungere ulteriore amarezza ad una popolazione sofferente. Non c’è soluzione nel lungo periodo e le cose non torneranno mai come erano prima delle proteste. La moneta potrà forse recuperare un po’ del suo valore ma il livello non sarà più lo stesso di prima.
Questo nuovo scenario andrà a colpire una gran parte della popolazione, cristiani e musulmani di qualunque scuola religiosa. Sebbene i militanti di Hezbollah siano pagati in dollari americani grazie al consistente sostegno finanziario dell’Iran, la comunità che protegge l’organizzazione è in cima alla lista di quelli che soffriranno di più a causa della crisi economica.
Ma torniamo alla questione principale accennata all’inizio. Hezbollah è debole, più debole che mai? C’è un piano volto a destabilizzare il Libano o gli alleati dell’Iran in Libano? Chi ci potrebbe essere dietro a questo piano sempre che esista veramente? Il Libano è sull’orlo del caos? E il caos in Libano potrebbe essere utile all’Occidente e a Israele?
Titoli del tipo “ Terroristi, terroristi, quelli di Hezbollah sono terroristi” hanno reso virali molti articoli apparsi nei più importanti mezzi di informazione. In altri articoli in prima pagina appariva: “ E’ il Libano, non l’Iran” e i dimostranti che lo cantavano. E analisti che scrivevano: “ In Libano i dimostranti hanno infranto un tabù nella comunità sciita”.
Il fine di tutti questi slogan era quello di dimostrare al mondo che l’influenza dell’Iran nel Levante è in declino e che i suoi alleati hanno problemi in Libano così come in Siria e in Iraq. Un giudizio un po’ troppo approssimativo.
Le scuole musulmane sciite in Libano non si sono mai schierate tutte quante con Hezbollah. Tra gli sciiti del Libano ci sono quelli contro Hezbollah, quelli a favore di Amal, quelli neutrali, quelli che appartengono ad altri gruppi politici (più piccoli), quelli che sono comunisti e infine quelli che sono con Hezbollah.
Ma qual’è la percentuale, che più si avvicina alla realtà, di coloro che oggi sono contro Hezbollah mentre i mezzi di informazione dipingono a modo loro la situazione?
Secondo una recente inchiesta del “Washington Institute”, un pensatoio (think tank) americano in cui lavorano analisti neo-conservatori acerrimi nemici di Hezbollah e dell’Iran dotati di talento “mediocre”, il 75% degli sciiti libanesi “ ha un atteggiamento molto positivo nei confronti di Hezbollah”.
L’esperienza militare di Hezbollah in Libano, in Siria e in Iraq contro i takfiri sunniti, in Yemen contro la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti e contro l’esercito israeliano da decenni, ha fatto acquisire al gruppo abilità incredibili in situazioni di guerriglia. Non solo, l’aver combattuto contro eserciti tradizionali (Israele e Arabia Saudita) e a fianco di altri eserciti di questo genere (Siria e Russia) ha fornito a questo attore quasi-statale non regolare ma superbamente organizzato un’esperienza preziosa.
In più i droni armati, i missili di precisione e da crociera forniti dalla Russia attraverso la Siria e dall’Iran hanno contribuito ad innalzare il livello delle capacità militari di Hezbollah. Detto questo, non vanno assolutamente trascurate le competenze elettroniche relative all’intercettazione della telefonia mobile e le apparecchiature elettroniche in possesso di Hezbollah.
Anche se consapevole della corruzione dilagante nel sistema politico e delle sue terribili conseguenze sulla popolazione, la leadership di Hezbollah è convinta che il fine ultimo delle proteste e del non intervento dell’esercito libanese nelle prime settimane per contenere i dimostranti in zone specifiche fosse quello di cercare di trascinare i suoi militanti in strada. Se fosse successo, si sarebbe forse scatenata una guerra civile in un paese impreparato ad affrontarla e con una leadership, quella di Hezbollah, che non si sarebbe mai aspettata una mossa del genere.
In realtà è molto probabile che il presidente Trump abbia poco interesse per il Libano (e Siria e Iraq). L’unico paese che potrebbe avere un ruolo in Libano è l’Arabia Saudita ma apparentemente senza una vera e propria strategia. Abbiamo tutti potuto vedere gli inutili, devastanti attacchi o meglio i “crimini di guerra” compiuti negli ultimi anni dai sauditi contro il paese più povero del Medio Oriente, lo Yemen.
La monarchia ha i suoi uomini di fiducia che occupano posizioni chiave nella politica e sono in grado di tenere il Libano sospeso in un limbo oppure di spingerlo nel caos con poco sforzo. Basterebbe, allo scopo, far saltare la candidatura di Hariri e sussurrare nelle orecchie dei sunniti libanesi di non cercare di nominare un primo ministro fino a nuovi ordini. Se fosse quello il desiderio dei sauditi, a Hezbollah andrebbe benissimo. Aspettare la fine dell’era di Trump per formare un nuovo governo in Libano potrebbe non essere una cattiva idea. Ma qualunque guerra richiede comunque finanziamenti di non poco conto.
Servirebbe sicuramente un enorme investimento finanziario unito ad un periodo molto più lungo di stagnazione e una crisi finanziaria di lunga durata per portare il Libano alla disperazione. In pratica, vorrebbe dire imbracciare le armi se e quando si presentassero le circostanze adatte. Proprio per questo Hezbollah emanava due direttive a tutti i suoi membri con queste istruzioni: andar via dalle strade senza badare alle provocazioni.
Israele pensa di poter avere dei vantaggi da una situazione caotica in Libano ma è indubbiamente fuori strada. La crisi che vive Israele al suo interno non è certo alla fine visto che dovrà tentare per la terza volta di eleggere un primo ministro. Israele e Hezbollah si capiscono a vicenda e riconoscono il significato dei messaggi che si scambiano per quanto “scottanti” possano essere. L’impreparazione del fronte interno in Israele, la sua situazione critica a livello economico e un’ “ Asse della Resistenza” compatta (Gaza, Libano, Siria, Iraq e Iran) scoraggiano le sue velleità di imbarcarsi in un’altra guerra contro un Hezbollah tanto potente.
Non c’è dubbio che il Libano tribolerà a livello economico nel breve e nel lungo periodo senza però necessariamente cadere in preda al caos. Molto probabilmente la guerra non è all’orizzonte. Molti paesi del Medio Oriente e quelli coinvolti in questo teatro non si possono permettere rischi a livello economico. Le lezioni impartite dalle vicende in Afghanistan, in Libano, Iraq Libia e Siria dovrebbero bastare e convincere coloro che prendono le decisioni a cercare altre vie meno bellicose. Ma niente si può escludere perché in questa parte del mondo la stabilità è un lusso che ben pochi, negli ultimi decenni, si sono potuti permettere.
Ci sono altre importanti questioni che non possono essere omesse parlando di possibile caos in Libano e delle sue radici.
L’ “accordo del secolo” che si collega alla presenza dei profughi palestinesi in Libano cercando di impedire il loro diritto al ritorno in Palestina.
La pressione esercitata dagli Stati Uniti per impedire il ritorno dei profughi siriani nel loro paese d’origine anche se oggi Damasco è più sicura di Beirut.
La disputa tra Israele e il Libano riguardante il blocco 9 nel mar Mediterraneo e la pressione politica degli Stati Uniti in proposito che ha moltissimo a che fare con la stabilità del Libano.
Ma temo che per affrontare questi temi importanti bisognerà aspettare un momento più opportuno; nel frattempo queste sono le mie conclusioni:
Nel 1982 Israele invadeva il Libano contribuendo in maniera decisiva alla nascita di Hezbollah. Nel 2011 il mondo appoggiava l’insurrezione in Siria, gli Stati Uniti addestravano parecchi jihadisti per cercare (senza riuscirci) di rovesciare Bashar al-Assad e permettevano ad al-Qaeda e all’ISIS di andare e successivamente espandersi nel Levante.
I risultati di tutto questo furono la presenza fino ad allora impensabile dell’Iran ai confini con Israele, una eccezionale esperienza di guerra per Hezbollah e la nascita di decine di gruppi simili a questa organizzazione in Siria e Iraq. Non occorre ricordare che centinaia di migliaia di persone sono morte o sono rimaste ferite, che i danni alle infrastrutture in Siria e Iraq ammontano a centinaia di miliardi di dollari e che i profughi si contano a milioni.
Nel 2014 gli Stati Uniti osservavano la crescita dell’ISIS e non intervenendo, ma addirittura impedendo la consegna al governo iracheno di armi già pagate, permettevano al gruppo terroristico di occupare un terzo dell’Iraq. A questo punto interveniva l’Iran e si formavano le Hashd al-Shaabi che oggi il mondo definisce come “ i delegati dell’Iran” ( proxy).
Cosa succederà se permetteremo che il Libano piombi nel caos più totale? Come si muoveranno Hezbollah e l’Iran per consolidare la loro posizione sul paese, aprendo forse la porta di ingresso alla Russia e alla Cina? Inizierà un esodo di massa di libanesi cristiani e musulmani, di profughi palestinesi e siriani verso l’Europa?
C’è molta poca voglia in Europa come in tutto il mondo di assistere a questo arrivo. Non necessariamente il Medio Oriente e l’Europa sarebbero poi un posto più sicuro, tutt’altro molto probabilmente.
Grazie!
Grazie in anticipo a tutti coloro che, dopo aver letto questo articolo, vorranno contribuire, anche solo con un euro alla continuità delle informazioni!!
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