Le conseguenze della guerra tra Stati Uniti e Russia in Ucraina stanno per finire: gli Stati Uniti sono i maggiori perdenti.  

Scritto da – Elijah J. Magnier: 

“L’Europa dovrebbe puntare a un’economia strategica e allontanarsi dalla dipendenza dall’America”… Con queste semplici parole, il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso quello che pensano i leader dell’Europa occidentale che non vogliono spingere l’Ucraina in una guerra contro la Russia e non vogliono rompere le relazioni con la Russia. Ma la domanda è: bastano poche parole di un influente leader europeo stufo dell’egemonia statunitense per cambiare rotta e riportare l’Europa alla razionalità che le è mancata dallo scoppio della guerra russo-statunitense in territorio ucraino? Macron è sincero nella sua offerta? Se sì, può cambiare la sudditanza dell’Europa agli Stati Uniti? Qualunque siano le risposte giuste, le conseguenze della guerra stanno venendo a galla, ma la guerra è tutt’altro che finita. 

Non è la prima volta che Macron pronuncia parole simili, invocando l’indipendenza dell’Europa e mettendo in guardia dalla crescente influenza degli Stati Uniti sul Vecchio Continente. Nel 2018, infatti, il presidente francese ha affermato che l’Europa deve avere un proprio esercito per proteggersi dai suoi nemici, soprattutto dagli Stati Uniti, e che la NATO è in uno stato di “morte cerebrale”. 

Pochi anni dopo, tuttavia, è stato costretto a sostenere la guerra degli Stati Uniti in Ucraina e tutti i suoi sei tentativi di mediare con il presidente russo Vladimir Putin per fermare la guerra sono falliti. Per peggiorare le relazioni tra Mosca e Parigi, la Francia, su pressione degli Stati Uniti, ha inviato equipaggiamenti militari all’Ucraina e alla Germania e all’Europa dell’Est (che sono più obbedienti agli Stati Uniti) e si è unita al club occidentale nell’imporre sanzioni alla Russia. L’Europa ha ignorato il suo bisogno di gas russo a basso costo e di buona qualità, credendo che la Russia sarebbe presto caduta nelle sue mani e che si sarebbe trattato solo di condividere il “bottino di guerra”. 

Ma l’andamento della guerra a vantaggio della Russia e a danno dell’Ucraina sta diventando oggi più evidente, nonostante il sostegno di oltre quaranta Paesi a un comando operativo congiunto a guida statunitense a Ramstein, in Germania. D’altra parte, i Paesi che hanno rifiutato le sanzioni occidentali contro la Russia hanno iniziato a organizzarsi e a unirsi lontano dall’Occidente, rappresentando solo il 16% della popolazione mondiale. 

Questi Paesi hanno deciso di attivare i loro scambi commerciali e le vendite di petrolio senza fare affidamento esclusivamente sul dollaro. Hanno invece deciso di commerciare in yuan cinese e in valute locali, il che porterà la Cina a un livello superiore di potere monetario e aiuterà le economie locali di questi Paesi a svilupparsi e a mantenere il proprio valore. L’Europa è preoccupata, soprattutto perché la sua industria è già stata colpita dall’aumento dei prezzi dell’energia e dalla decisione del Congresso di sostenere le imprese industriali con sgravi fiscali e agevolazioni energetiche, innescando la migrazione dell’industria europea verso gli Stati Uniti. 

Man mano che i Paesi produttori di petrolio si allontanano dal commercio esclusivamente in dollari, l’argomentazione del “petrodollaro”, emersa a metà degli anni ’70 a sostegno della valuta statunitense, rischia di sgretolarsi sotto l’impatto dell’uso dello yuan. L’Arabia Saudita ha già firmato un accordo per vendere un terzo del suo petrolio alla Cina nella valuta locale. Questo ha fatto suonare l’allarme a Washington, che si è resa conto che le sanzioni e il controllo economico sul mondo stanno cominciando a venir meno. I BRICS stanno seguendo l’esempio, un passo significativo verso la de-dollarizzazione. 

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