L’attacco turco ai curdi in Siria: vincitori e vinti (Parte 2/3)

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Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

 Tradotto da: Alice Censi

La Turchia ha invaso il nord-est della Siria (NES) soltanto dopo aver fissato insieme agli Stati Uniti i limiti territoriali da non oltrepassare. Le due superpotenze, Russia e Stati Uniti, hanno scelto, in un secondo tempo, di tutelare Ankara bloccando una risoluzione alle Nazioni Unite, redatta dall’Unione Europea, che chiedeva di fermare l’avanzata turca. La Turchia non era più disposta ad accettare che gli Stati Uniti fornissero armi ai curdi,  li addestrassero e promettessero loro uno stato indipendente sui suoi confini continuando, come se niente fosse, a considerarsi suoi alleati. In questa situazione, il presidente Donald Trump non aveva altra scelta se non quella di acconsentire alle richieste turche a scapito dei separatisti curdi. La Russia, ritenendo che fosse molto meglio avere a che fare con una presenza turca nel nord-est della Siria piuttosto che con quella degli Stati Uniti dava luce verde all’operazione del presidente Erdogan visto anche il disincanto dei curdi nei confronti dei loro “guru” americani. A questo punto, chi è il vincitore? E chi viene sconfitto?

Turchia

Il ruolo di Ankara nella guerra in Siria è stato tra i più deleteri fin dall’inizio, ha permesso infatti ai jihadisti provenienti da tutto il mondo di recarsi in massa in Siria. La sua posizione era in armonia con le direttive americane ed europee che miravano ad un cambio di regime o alla creazione di uno stato fallito dove ognuno avrebbe potuto appropriarsi di una fetta del paese lasciandolo in preda al caos più totale. Inoltre la Turchia appoggiava l’attacco vittorioso dei jihadisti alla città di Idlib, partito proprio dal confine turco, e la loro successiva occupazione della città. Fece la stessa cosa in seguito, quando i jihadisti attaccarono Kessab minacciando la provincia di Latakia.

Bisogna però ricordare che fu proprio il presidente Erdogan a far ritirare dalla città di Aleppo i suoi mandatari (proxies) dell’opposizione siriana permettendo all’esercito regolare di liberare la città senza grandi perdite di vite umane. Ebbe anche un ruolo efficace nella caduta della Ghouta, un sobborgo di Damasco, che venne riconquistata dall’esercito siriano.

E’ sempre Erdogan che ha mandato le sue truppe a Jarablus nel NES e che due anni dopo occupava Afrin interrompendo il sogno dei curdi siriani di avere uno stato, il “Rojava”. La sua invasione del NES causava la fine del Kurdistan del Nord e indirettamente spingeva le forze statunitensi fuori da questo territorio, ad eccezione di una piccola presenza ad al-Tanf.

 Il presidente turco è oggi un partner fondamentale nel processo di pace di Astana in virtù del fatto che controlla più del 10% del territorio siriano e ha potere sui militanti dell’opposizione e sui jihadisti. Giocando bene le sue carte, riesce ad avere buoni rapporti con gli Stati Uniti come con la Russia, compra armi da entrambi anche se l’amministrazione americana disapprova  questa doppiezza.

 Nonostante non sia riuscita a mantenere le promesse di bloccare, arginare e disarmare i gruppi jihadisti presenti a Idlib, la Turchia ha dato il via ad una spedizione militare contro di loro quando continuavano a lanciare droni armati contro la base russa di Hmaymeem e si rifiutavano di smettere.

 Presto il presidente Erdogan andrà a negoziare un nuovo assetto costituzionale ad Astana avendo in mano Idlib e sperando, a quel punto, di controllare circa 14.000kmq ( 440×32 ) di NES. Nel suo paese ci sono 3,6 milioni di rifugiati e lui vorrebbe riportarne in Siria una gran parte. Deve pure accontentare i suoi “proxies” siriani che lo accuserebbero di tradimento se non desse loro almeno un po’ di quello che hanno chiesto: una reintegrazione nel sistema siriano senza essere perseguitati per la condotta precedente e un cambio della costituzione.

 Sebbene il presidente Erdogan fosse schierato con la NATO e gli Stati Uniti all’inizio della guerra in Siria e arrivasse al punto di abbattere un aereo militare russo nel novembre 2015, è riuscito a riequilibrare i suoi rapporti con Mosca. Sta diventando un partner strategico della Russia non solo per l’acquisto del sistema missilistico S-400 ma anche per il partenariato nel gasdotto Turkish Stream ( o TurkStream) sponsorizzato da Gazprom che rifornirà l’Europa di gas russo. Il presidente turco potrebbe anche minacciare di andarsene dalla NATO ( e farebbe felice la Russia ) se mai gli Stati Uniti dovessero imporre delle sanzioni alla Turchia o a cittadini del paese.

 La guerra in Siria non è ancora finita. Erdogan avrà ancora un ruolo nell’ultima fase di questo conflitto. La presenza turca in Siria durerà tanto come l’occupazione del nord-est di Cipro? Se fosse così sicuramente ci sarebbe uno scontro militare con Damasco nel lungo periodo e la disapprovazione della Russia e dell’Iran.

 I curdi siriani e le tribù arabe fedeli a Damasco non se ne staranno con le mani in mano di fronte a una lunga occupazione turca. Un tale evento scombinerebbe di sicuro i rapporti tra gli alleati che devono invece cercare di sviluppare rapporti d’affari e anche di tipo commerciale in un momento in cui gli Stati Uniti faticano a mantenere la loro egemonia e impongono sanzioni ad un mucchio di paesi. Tutto dipenderà dalle ultime mosse della Turchia nel Levante, quella Turchia che alla fine dovrà scegliere cosa diventare: un partner o un nemico? E di chi?

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