I dimostranti in Libano e in Iraq: Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita stufi dell’Iran 3/4

Da Beirut, Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da Alice Censi 

I dimostranti in Libano sono scesi in strada (per la prima volta dal 1945, anno dell’indipendenza del paese) accusando di corruzione tutti i leaders politici attualmente al potere. Non erano solo libanesi: molti tra i rifugiati siriani, che in totale sono più di un milione e mezzo, e tra i rifugiati palestinesi, che sono  circa settecentomila, erano presenti a sostenere la rivolta. Tutti chiedono riforme e manifestano la loro rabbia nei confronti della corruzione della classe politica, denunciano la quasi totale mancanza di servizi pubblici e la cattiva gestione delle risorse. 

Le dimissioni del primo ministro Saad Hariri rimanderanno forse a tempo indeterminato l’attuazione dei tredici punti del pacchetto di riforme economiche proposto da lui, adesso primo ministro (PM) ad interim. Questo potrebbe dar luogo, come conseguenza, ad un’altra rivolta nel caso in cui si imponesse un vuoto di potere. E inoltre, come potrebbe un Libano stabile essere appetibile per quei paesi che vogliono attaccare Hezbollah e indebolirlo dall’interno? 

Molti dimostranti nel sud del Libano hanno accusato l’alleato sciita di Hezbollah Nabih Berri, capo del movimento Amal e da lungo tempo Speaker del parlamento e i membri della sua famiglia, di aver accumulato centinaia di milioni di dollari grazie ad affari illegali e alla partecipazione, imposta usando il potere politico, a progetti importanti proprio nel sud del paese. Alcuni tra i dimostranti hanno anche accusato Hezbollah di aver chiuso un occhio sul comportamento del suo alleato, Amal. 

Hezbollah ha dei sospetti;  secondo fonti ben informate: “ non c’è dubbio che la corruzione e il risentimento che ne consegue  stiano colpendo tutta la società, inclusi i giovani. Ma dopo aver formulato delle richieste che sono impossibili da soddisfare chi protesta è passato agli insulti contro i leaders politici e il caos è diventato il vero obbiettivo”. 

“Quando la gente scende in strada per una causa giustissima, con una serie di richieste, ci sono degli “osservatori” che si concentrano sulla longevità e l’efficienza delle proteste per poter intervenire al momento opportuno. Così Hezbollah esamina attentamente le ragioni di chi finanzia e trae beneficio dal caos nel paese” ha continuato la fonte. 

Il governatore della Banca Centrale, Riad Salame, in un’intervista del New York Times ha indirettamente accusato Hezbollah di volerlo rimuovere dall’incarico perché lui “ rispetta le sanzioni degli Stati Uniti”. Proprio così un libanese, governatore della Banca Centrale, ha espresso apertamente la sua fiducia in un paese straniero (gli Stati Uniti) che sta imponendo dure sanzioni ai suoi compatrioti che fanno donazioni a Hezbollah, un gruppo che ha membri nel parlamento e ministri nel governo. Solo in Libano succedono queste cose! 

Non ci sono molti dubbi sul fatto che il sistema libanese sia invaso dalla corruzione: il Libano è un paese dove qualunque leader è diventato un ricco imprenditore durante e dopo la sua carriera politica. Ci sono impiegati pubblici a cui è stata data l’autorizzazione a versare giornalmente centinaia di migliaia di dollari nei loro conti bancari. Regali costosi e soldi dati di nascosto (ma anche alla luce del sole!) fanno parte della cultura del paese così come gli scambi di favori a vari livelli. 

Il leader di Hezbollah, Sayyed Nasrallah, decideva un anno fa di combattere la corruzione. La sua battaglia non ha avuto successo perché avrebbe avuto bisogno dell’appoggio del potere legislativo ed esecutivo. Chi decide in questo campo (anche i suoi alleati più stretti) non era e non è disposto, ovviamente, ad accontentarlo perché tutti hanno qualche  scheletro nell’ armadio. 

E’ vero che Hezbollah possiede un grande esercito ma non è certo con l’esercito che si possono imporre i cambiamenti necessari al sistema politico corrotto del paese. Hezbollah si trova ad affrontare le continue sanzioni, peraltro piuttosto inefficienti, che gli Stati Uniti impongono ai suoi leaders. Ma le sanzioni ai ricchi della comunità sciita (e ai suoi alleati) in realtà qualche effetto ce l’hanno. Gli attacchi finanziari impongono al leader di Hezbollah Sayyed Nasrallah un obbligo morale e infatti ha avvertito che non starà a lungo senza far nulla. 

Come gruppo Hezbollah non è toccato direttamente dalle sanzioni americane. Riceve infatti l’aiuto finanziario mensilmente dall’Iran in contanti o attraverso petrolio e altre merci che poi vende sul mercato. Ha una sua banca, al-Qard al-Hasan e non fa affari fuori dal Libano. Le sue decine di migliaia di militanti ricevono i loro stipendi ( anche se a volte vengono ritardati sono poi pagati quando il contante è disponibile) e usufruiscono di un eccezionale servizio sanitario gratuito e di un sistema pensionistico privato esente da tasse. Questo è il motivo per cui Hezbollah attrae moltissimo i giovani soprattutto quelli sciiti laureati che si riversano in gran numero ad offrire le loro competenze per far parte del gruppo. Sayyed Nasrallah stabilisce la politica dell’organizzazione e viene osservato attentamente da Israele (molto più che dai libanesi) e dai politici che non appartengono alla comunità sciita. Infatti i simpatizzanti di Hezbollah sono più radicali che i suoi militanti nel rifiutare le critiche rivolte al gruppo o ai suoi leaders. Sono la colonna portante di Hezbollah che deve a loro la sua continuità. 

Hezbollah non è in condizione di ritenere responsabili i suoi alleati: preferisce sostenerli e stare dalla loro parte. E’ assolutamente necessario per poter evitare scontri interni alla comunità sciita perché il pericolo di un paese in preda al caos si sta estendendo e contamina tutti gli alleati di Hezbollah.

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