Iran, Russia, Cina, Siria e Hezbollah sono i nemici degli Stati Uniti in Libano

Di Elijah J. Magnier:   @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi 

La testimonianza al Congresso degli Stati Uniti di Jeffrey Feltman, ex sottosegretario generale alle Nazioni Unite ed ex ambasciatore in Libano, ha creato un po’ di scompiglio nel Paese dei Cedri anche se lui non ha più una carica ufficiale nell’amministrazione del suo paese. Feltman, che lavora per il centro di ricerca “Brooking Institution”, ha presentato una relazione dettagliata su ciò che sta succedendo in Libano riferendosi in particolare all’ondata di proteste che stanno scuotendo il paese. Non sembra però in grado di comprendere appieno la situazione e la sua lettura degli eventi si fonda su qualche pia illusione. Oltre a illustrare la complessità della situazione del paese, ha suggerito al Congresso le ricette per “sconfiggere Hezbollah e l’Iran in Libano” e per “ evitare che la Siria, la Russia e la Cina mettano piede nel paese”. Tuttavia la sua interpretazione sbagliata delle dinamiche locali e del potere di Hezbollah possono essere d’aiuto al Libano ma solo se il Congresso darà credito alle sue parole. 

Non è poi così strano che l’”Asse della Resistenza” (Iran, Siria, Iraq, Palestina, Hezbollah e Yemen) accetti degli equivoci a proposito del suo potere reale e quindi lasci che questo venga pubblicamente sottovalutato senza reagire e correggere le stime. L’Iran, per esempio, usa proprio questo metodo per mostrare i danni causati da alcune pratiche messe in atto per frenare il suo potere e dà risalto ai loro effetti di modo che gli attori, soprattutto se sono una superpotenza come gli Stati Uniti, si convincano della reale efficacia dei loro metodi. Il presidente Trump era sicuro che il regime iraniano sarebbe caduto in pochi mesi grazie alle sue durissime sanzioni. E il governo iraniano non nasconde l’effetto che queste sanzioni hanno sulla sua economia ma è ben lontano dal dichiarare la sua sconfitta, redige il suo bilancio annuale non dipendente dal petrolio e si adatta alla punizione economica inflittagli da Trump. 

Questa strategia, secondo l’Asse della resistenza, potrebbe  convincere gli attori a non adottare misure ancora più rigide nei suoi confronti e riuscire inoltre ad accontentare l’amministrazione americana o i suoi amici mediorientali offuscando appunto la realtà. Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, per esempio, si è vantato della sua capacità di intercettare tutti i rifornimenti di armi destinati a Hezbollah bombardandoli mentre venivano trasferiti in Libano dalla Siria. Adesso però è il primo a riconoscere che Hezbollah  ha ricevuto i più aggiornati missili di precisione dall’Iran, transitati dalla Siria, che hanno aggiunto una potenza di fuoco letale al suo arsenale in cui già ci sono 150.000 missili. 

Nella sua testimonianza l’ex diplomatico degli Stati Uniti ha elogiato e ingigantito il ruolo sostenuto dall’esercito libanese nella lotta, vincente, ad al-Qaeda e all’ISIS al confine tra Libano e Siria. La sua visione ( anche se piuttosto lontana dalla realtà) potrebbe servire ad ammorbidire la rigida posizione degli Stati Uniti, mirata, negli ultimi anni, ad impoverire il Libano. Ma in realtà è stato Hezbollah che ha sconfitto i jihadisti e non i 12 missili hellfire “orfani” dati con riserva dagli Stati Uniti all’esercito libanese che in fin dei conti si è solo limitato ad occupare quei luoghi che Hezbollah ripuliva definitivamente dalla presenza dei jihadisti durante la sua avanzata. Le perdite subite dall’esercito libanese furono dovute ad una mina, collocata dai jihadisti sulla strada, che esplodeva al passaggio di un veicolo. 

Se l’amministrazione americana fosse portata a pensare che Hezbollah potrebbe essere sconfitto dall’esercito libanese e che sarebbe necessario un Libano risanato per poter mettere un freno alla sua influenza, le ripercussioni sul paese non potrebbero che essere positive. Tuttavia le pie illusioni di Feltman contrastano con i piani degli Stati Uniti di imporre ulteriori sanzioni al Libano. Non perché ci siano dirigenti statunitensi più intelligenti di Feltman ma perché l’amministrazione attuale è ampiamente condizionata dal desiderio di Israele di mettere in ginocchio il Libano e il mezzo per farlo sono nuove sanzioni agli sciiti e ai cristiani, tutti classificati come alleati di Hezbollah. 

Feltman ha dichiarato, erroneamente, che “la guerra civile è l’espressione dell’influenza iraniana”. La sua analisi dell’influenza di Hezbollah e dell’Iran è fuorviante. L’Iran, le cui forze intervenivano in Libano in seguito all’invasione israeliana del 1982 e non quando scoppiava la guerra civile nel 1975, vorrebbe che il Libano e anche l’Iraq fossero paesi stabili perché qualunque guerra civile allontanerebbe per forza di cose i partner dell’Iran dagli obbiettivi fondamentali: solidarietà tra tutti i membri dell’Asse della Resistenza per contrastare i nemici comuni, deterrenza nei confronti di Israele e sostegno alla causa palestinese. 

Feltman, un ex diplomatico esperto ( a differenza di molti all’interno dell’amministrazione del suo paese) pensa ancora erroneamente che l’egemonia siriana sia uno scenario che possa ripetersi in Libano. Le relazioni tra la Siria e i suoi alleati in Libano, in particolare Hezbollah, sono cambiate. Da molti anni il presidente Bashar al-Assad non è più direttamente coinvolto nelle politiche libanesi nonostante il Libano resti importantissimo per la Siria per diversi fattori legati alla sicurezza, ai commerci e alla vicinanza dei due paesi. Benché ci siano molti libanesi che visitano Damasco, Assad sa che i politici libanesi sono divisi ma che l’ “Asse della Resistenza” ha una forza sufficiente a prevenire comportamenti ostili nei confronti della Siria. 

In Libano Hezbollah non ha mai controllato né ha mai goduto del sostegno di tutta la comunità sciita. Anche il suo più stretto alleato, il movimento Amal, pur non essendogli ostile compete con Hezbollah per avere più influenza nel sud del Libano e nelle cariche istituzionali riservate agli sciiti. Ci sono molti sciiti libanesi che si dichiarano nemici di Hezbollah : è un fenomeno non diffuso ma non infrequente. Hezbollah ha l’appoggio della maggioranza degli sciiti perché protegge le minoranze cristiane dai jihadisti, perché ha un ruolo di deterrenza nei confronti delle aggressioni israeliane e perché ha in progetto di riprendere dei territori libanesi ( terra e mare). 

I dimostranti in Libano sono scesi in strada per circa 40 giorni contro la mancanza di servizi pubblici, la cattiva gestione delle risorse economiche e la corruzione dei leader politici attualmente al potere. Ma la crisi è peggiorata quando si è capito che un governo non si sarebbe potuto formare a breve. Il primo ministro provvisorio Saad Hariri vorrebbe soddisfare il desiderio degli Stati Uniti di escludere Hezbollah e il suo alleato cristiano “ Movimento Patriottico Libero” da un futuro governo tecnico e avere mano libera per nominare lui i ministri (anche se controlla soltanto 21 membri del parlamento (MP) su un totale di 128 mentre i suoi oppositori hanno la maggioranza, più della metà dei seggi) e tener fuori chi si rifiuta di accettarlo. 

Hariri non è certo uno non corrotto ma cerca di cavalcare l’onda delle riforme. I suoi oppositori politici insistono a rinominarlo primo ministro così si dovrà assumere la responsabilità della corruzione che, presente già ai tempi del governo di suo padre, ha continuato a imperversare nei vari governi guidati da lui dopo il suo assassinio. I suoi sostenitori sono stati spinti a scendere in strada per concorrere a chiudere le strade più importanti: un segnale inteso a fare pressione che in realtà ha contribuito a mettere in ginocchio il paese. 

In meno di due mesi, con questa chiusura delle vie di comunicazione del paese, il Libano ha perso circa 2 miliardi di dollari in scambi economici e commerci. La sua moneta si è svalutata del 33% sul dollaro al mercato nero. 

Solo la scorsa settimana l’esercito libanese ha preso la decisione di tenere aperte le strade principali evitando così un possibile peggioramento della situazione. Le città a maggioranza sciita e le vie di comunicazione che collegano  Beirut al sud del Libano e alla valle della Bekaa sono rimaste chiuse per parecchi giorni. Questa situazione stava per scatenare una reazione che avrebbe potuto mettere il Libano in serio pericolo. 

Il Libano è sull’orlo della bancarotta. Non c’è più fiducia nella lira libanese così come nel sistema bancario. Il sostegno degli Stati Uniti all’esercito libanese per la cifra di 105 milioni di dollari, un’erogazione  non correlata alla crisi finanziaria in Libano, non copre neppure una piccola parte del deficit del paese che è di 85 miliardi di dollari. 

Solo Cina e Russia, i paesi di cui ha più paura Feltman, possono ridare speranza al Libano. La Cina ha investito nel porto di Haifa, siglando un contratto della durata di 25 anni, per espandere le sue capacità di trasporto navale e non solo, si occuperà anche della modernizzazione delle centrali elettriche e dei trasporti pubblici in Israele con una spesa di 12,19 miliardi tra il 2005 e il 2019. 

La Cina ha firmato un contratto del valore di 54 milioni di dollari con l’Iraq che prevede lo sviluppo e il completamento di 80 pozzi di petrolio nel gigantesco giacimento petrolifero di Majnoon vicino a Bassora e un altro contratto del valore di 255 milioni per la trivellazione di 43 pozzi petroliferi che aumenteranno la produzione portandola a 400.000 barili al giorno. Ha firmato inoltre un accordo del valore di 1,39 miliardi di dollari per progetti legati all’edilizia, all’educazione e alle cure mediche a Najaf, Karbala e Bassora. Il volume dei commerci tra Iraq e Cina ha oltrepassato i 30 miliardi di dollari nel solo 2017. La Cina importa ogni anno greggio dall’Iraq per 20 miliardi di dollari con un aumento finora del 10% ma in crescita continua. 

A differenza di Israele, i politici libanesi che si professano alleati degli Stati Uniti hanno un gran timore di offendere Washington, quindi rifiutano sia le donazioni russe che qualsiasi accordo economico con la Cina anche se in questo modo riuscirebbero a dare slancio all’economia fatiscente del paese. 

Il fragile equilibrio politico ed economico del Libano sta contribuendo al suo sfacelo finanziario. L’amministrazione degli Stati Uniti in Medio Oriente si muove come un elefante in una cristalleria, impone sanzioni finanziarie in modo indiscriminato senza ottenere risultati. Le sue decisioni aggressive e arroganti non fanno altro che crearle dei nemici e alimentano i suoi errori di valutazione delle dinamiche mediorientali. L’Iran, il Libano, l’Iraq, lo Yemen e la Siria sono esempi eclatanti di dove l’amministrazione Trump “ha fatto un buco nell’acqua” contribuendo moltissimo, senza assolutamente volerlo, al successo dell’Iran e dei suoi alleati. Così adesso le “politiche” di Trump, definite come “la principale fonte di instabilità nel mondo“, lasciano spazio alla presenza della Russia e della Cina in moltissimi paesi del Medio Oriente. 

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