Scritto da Elijah J.Magnier
Tradotto da A.C.
L’Iraq con i suoi conflitti a livello politico ed economico sta diventando sempre più una copia del Libano. L’inesorabile, serio deterioramento della sua economia potrebbe obbligare il governo di Baghdad a fare delle scelte delicate, foriere comunque di pesanti conseguenze per il paese, a prescindere dalla direzione verso cui deciderà di avviarsi.
Questa fragile situazione politico-economica suggerisce che non ci potrà essere a breve stabilità in Medio Oriente. Si prevede che l’Asia Occidentale rimanga teatro di conflitti e battaglie tra Stati Uniti e Iran e i loro rispettivi alleati. Pertanto l’Iraq non può più pensare di barcamenarsi e optare per una posizione neutrale. E’ obbligato a scegliere la direzione meno sfavorevole se no si ritroverebbe in una situazione ingestibile: dovrebbe fare i conti con due nemici che combattono sul suo territorio. Ma che strada prenderà l’Iraq? Si avvicinerà all’America o all’Iran? Che opzioni ha?
L’Iraq sta andando verso il disfacimento economico vista la tendenza del governo a sovraccaricare il bilancio e la tesoreria di debiti interni ed esteri. Secondo un funzionario del ministero delle finanze a Baghdad il debito estero dell’Iraq ha raggiunto la cifra di circa 72 miliardi di dollari mentre quello interno si aggira sui 35 miliardi di dollari.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) di fronte alla critica situazione finanziaria dell’Iraq ha suggerito di bloccare l’eccessivo impiego di personale nei dipartimenti statali, nelle forze armate e di sicurezza. Sebbene manchi una statistica accurata, il numero degli impiegati governativi e di quelli in pensione risulterebbe essere tra i cinque e i sette milioni. Sempre il FMI ha proposto di privatizzare le compagnie statali e di sospendere i sussidi sulle merci essenziali importate dallo stato, due provvedimenti che alleggerirebbero il pesante bilancio dell’Iraq.
Secondo i funzionari del ministero delle finanze il deficit del bilancio iracheno ha raggiunto il 58% mentre la legge di bilancio impone che il debito non debba superare il 3%. Le cause di questo eccesso sono dovute al fatto che l’Iraq sta prendendo in prestito denaro e importa la maggior parte delle sue merci. Sarebbe indispensabile un piano mirato a sostenere la produzione locale e le esportazioni invece di affidarsi al petrolio come fonte primaria di reddito, ma il piano purtroppo non esiste.
Il bilancio per la spesa nel 2017 ammontava a 72 miliardi di dollari e nel 2018 raggiungeva i 70 miliardi. Ma nel 2021 la cifra è di oltre168 miliardi, più del doppio di quella dei due anni messi insieme. E l’Iraq non è in grado di coprire le spese relative al bilancio del 2021. Per cui non può affrontare le numerosissime sfide interne, in particolare le richieste di stipendi arretrati e il completamento di progetti indispensabili mai portati a termine. Baghdad ha congelato tutti i progetti che non hanno raggiunto il 60% del loro obbiettivo.
E così ci sono edifici residenziali e ospedali in costruzione bloccati da sette anni per mancanza di finanziamenti. Molti giovani in possesso di diplomi universitari chiedono da tempo, nelle manifestazioni di piazza, posti di lavoro e che si ponga fine alla corruzione che domina incontrastata nel paese da più di un decennio. Le infrastrutture (ospedali, strade, elettricità) si stanno rapidamente deteriorando e hanno bisogno di lavori per essere rimesse in sesto. Il ministero delle finanze, vista l’emergenza, ha chiesto aiuto al RFI (strumento di finanziamento rapido) del Fondo Monetario Internazionale, un pacchetto di prestiti del valore di 6 miliardi di dollari e potrebbe chiedere ancora 4 miliardi di prestiti a basso costo legati ad un altro progetto. Il governo di Baghdad non riesce a sopravvivere senza prestiti esteri per cui è alla mercé della comunità internazionale che è quella che ha il potere di sostenere e soddisfare le richieste finanziarie dell’Iraq. Quello che ha peggiorato le cose è l’aumento del valore del dollaro nei confronti del dinaro iracheno,
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