
Di Elijah J. Magnier
Tradotto da A.C.
L’Iran e Israele hanno intensificato le loro campagne di guerra psicologica, ostentano il loro astio reciproco dando l’impressione a coloro che non ne conoscono le reali capacità che la guerra sia alle porte: Israele vuol far credere al mondo di essere ad un passo dal lancio di una massiccia campagna militare mirata a colpire gli impianti nucleari iraniani. E l’Iran risponde allo stesso modo, palesando la sua intenzione di distruggere decine di siti in Israele. Questa campagna mediatica non è iniziata da poco, dura da mesi. Infatti Israele alza la voceogni volta che si verifica un riavvicinamento tra gli Stati Uniti e l’Iran, quando si crea un clima di cauto ottimismo attorno ai negoziati di Vienna o addirittura si profila un loro possibile successo. Il suo comportamento è una cartina al tornasole dell’impotenza di Tel Aviv a cui restano ormai pochissime opzioni per riuscire a bloccare un accordo sul nucleare o lo sviluppo del programma nucleare dell’Iran.
Ma Israele sa che se attacca l’Iran dovrà farlo da solo e sa anche che Teheran non porgerà l’altra guancia. Basta ricordare che non ha avuto esitazioni ad attaccare gli Stati Uniti d’America abbattendo un loro drone e bombardando una loro base militare in Iraq. Tutti si stupirono quando vennero a conoscenza del fatto che l’Iran aveva informato l’allora primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi della sua decisione di bombardare la più importante base americana qualche ora prima di farlo. E l’attacco venne considerato il primo, in termini di sfida militare di qualità al paese più potente del mondo, dopo la seconda guerra mondiale, quando il Giappone attaccò la flotta americana a Pearl Harbor: 2403 vittime, 19 navi e 300 aerei distrutti.
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