Le truppe americane rimarranno in Siria: Le trattative con i curdi saranno difficili e intanto la Siria prepara l’offensiva a Idlib.

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da: Alice Censi

Washington ha dichiarato che non ritirerà completamente le sue truppe dalla Siria ma lascerà 400 uomini come forze di pace che automaticamente diventeranno una forza d’occupazione ufficiale poiché anche l’ultima roccaforte dell’ISIS è ad un passo dall’ essere liberata. Questa nuova situazione non offre più alcun pretesto legale agli Stati Uniti e ai loro alleati europei essendo la  scusa dell’antiterrorismo non più credibile. Il numero delle forze che restano è irrilevante perché gli Stati Uniti non hanno mai rivelato con accuratezza il numero dei loro effettivi in Siria e Iraq. Inoltre, anche se il numero è esiguo, questi che rimangono possono sempre richiedere che vengano effettuati attacchi aerei e impedire a qualunque forza, incluso l’esercito siriano, di attraversare l’Eufrate dato che in qualunque momento possono contattare le unità americane che sono in Iraq e non sono lontane. Mosca e i suoi alleati già dall’inizio prevedevano che il ritiro non ci sarebbe stato. La Russia, l’Iran e la Siria mai hanno avuto fiducia nell’annuncio di Donald Trump di voler ritirare tutte le truppe dalla Siria. 

Adesso che l’ intenzione americana di rimanere nel Levante è venuta allo scoperto, la Russia e i suoi alleati devono riconsiderare i loro piani. I negoziati tra i curdi e il governo di Damasco si complicheranno e le relazioni tra Russia, Iran e Turchia saranno ricalibrate.  Torneranno le tensioni tra Stati Uniti e Turchia e tra Russia, Turchia e Iran nell’arena siriana. 

La presenza continua delle truppe americane al valico di frontiera di al-Tanf tra Siria e Iraq e nel nordest della Siria, facilmente farà sì che i curdi di al-Hasaka e Qamishli non riescano a raggiungere un accordo esplicito con il governo siriano fino a quando l’esito della decisione americana non appaia più chiaro. 

Tuttavia la situazione in cui si trovano i curdi è tutt’altro che invidiabile: hanno combattuto contro l’ISIS e hanno perso migliaia di combattenti nella lotta per liberare il nordest siriano occupato dai terroristi. Ma il loro impegno militare non finisce qui: gli Stati Uniti di sicuro hanno ancora bisogno  che facciano da scudi umani alle truppe che restano. 

Comunque Trump vuole la partecipazione della Turchia nei 12.000 kmq di quella “zona cuscinetto” che intende creare nel territorio controllato dai curdi siriani e dalle tribù arabe lungo il confine siro-turco. Contemporaneamente però Trump vuole che i turchi proteggano i loro acerrimi nemici delle “Unità di Protezione Popolare”(YPG), un ramo siriano del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan).

Trump non ha mai spiegato come una tale situazione contraddittoria possa realizzarsi. Una soluzione potrebbe essere o il ritiro totale delle YPG che permetterebbe alle forze regolari turche ( e i loro “proxies”) di subentrare o il rifiuto del piano americano da parte della Turchia. Un paio di telefonate tra il presidente Trump e il presidente Erdogan hanno provocato una grande mobilitazione di truppe turche con i loro “proxies” siriani al confine con la Siria. Ma questa mobilitazione sta logorando l’esercito turco dato che non appare nessun segno che indichi quello che potrebbe essere il passo successivo. 

C’è poi da aggiungere alla complessità della situazione il fatto che la leadership russa ha spiegato alla Turchia che Mosca non accetterà la presenza di truppe turche nel nordest siriano se non c’è l’approvazione del governo centrale di Damasco. 

E così si arriva ad un altro dilemma: malgrado i contatti diretti a livello militare tra Siria e Turchia, non è chiaro se Damasco sia in grado di accettare di discutere con Ankara ad altri livelli in particolar modo allo stato attuale delle relazioni. Solitamente questo tipo di comunicazioni avvengono attraverso la Russia. La mancanza di contatti diretti e la non disponibilità di Damasco a parlare con Ankara faranno pressione sulla Russia e gli Stati Uniti per ottenere progressi sul campo. 

Nella città nordoccidentale di Idlib e nella provincia, la situazione adesso è chiara: o il gruppo jihadista di al-Qaeda che prima si chiamava al-Nusra e adesso Hay’at Tahrir al-Sham cambia colore come ha fatto l’altro gruppo jihadista “ Ahrar al-Sham” oppure le forze siriane con i loro alleati attaccheranno e si riprenderanno dei territori. Sebbene Ahrar al-Sham sia un gruppo jihadista e abbia tra le sue file dei combattenti stranieri, la Russia e la Turchia hanno entrambe accettato la sua presenza nella zona. 

Fonti di informazioni sul campo dicono che le forze russe sono state in allerta negli ultimi giorni sul fronte di Idlib. Gli alleati della Siria che hanno base ad Aleppo hanno confermato che sei jihadisti sono stati colpiti e uccisi nel tentativo di dirigersi verso la città. L’aviazione russa ha bombardato i jihadisti a intermittenza ma non con intensità. 

La Turchia ha mostrato la sua incapacità a rimuovere i jihadisti da Idlib dopo essersi impegnata verbalmente in questa direzione a settembre con la Russia. Questo è il motivo per cui l’esercito siriano con i suoi alleati si sta preparando ad attaccare. La periferia di Aleppo viene occasionalmente colpita dai tiri di mortaio  e dai razzi fatti in proprio dai jihadisti. L’esercito siriano sta bombardando le posizioni jihadiste nella zona: quando arriverà la primavera arriverà anche la liberazione di Idlib. 

Gli Stati Uniti hanno spesso minacciato di intervenire a difesa dei jihadisti di Idlib, in passato lo stesso Trump in più occasioni aveva minacciato di colpire l’esercito siriano nel caso si fosse diretto a Idlib. Questa volta la situazione è un po’ diversa, poiché la Russia ha assunto una posizione più aggressiva nei confronti degli Stati Uniti e potrebbe non permettere a questi ultimi di bombardare la sua zona di influenza in Siria. Si preannuncia un’estate calda nel Levante. 

L’amministrazione americana si trova di fronte ad un dilemma: il presidente vuole andarsene dalla Siria mentre l’amministrazione oppone resistenza e ritarda il piano. Washington crede che la sua base in Siria costi poco grazie alla protezione che le viene garantita dai suoi “proxies” curdi (YPG). Inoltre ci sono segnali che anche il governo iracheno potrebbe chiedere alle forze americane di lasciare il paese. Il governo e il parlamento iracheni sono divisi al riguardo. La dirigenza americana si sta preparando a questa eventualità esplorando la possibilità di ridurre anche lì la sua presenza. Se fosse necessario questo comporterebbe un piano B, vale a dire l’occupazione continua della Siria: sarà un problema solo nel caso nasca una resistenza locale contro le forze di occupazione. 

L’ISIS sta perdendo gli ultimi chilometri in cui si era asserragliato. Il suo famigerato slogan “Baqiya wa tatamaddad”( restare ed espandersi) ormai appartiene all’immondezzaio della storia. Questo slogan adesso evidentemente è stato rilevato dall’amministrazione americana che intende rimanere e forse anche espandere la sua presenza in Siria. Dalla Casa Bianca adesso Trump può sbraitare: “Baqiya wa tatamaddad”. 

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