L’Iran è pronto ad attaccare ancora: le truppe degli Stati Uniti se ne andranno dall’Iraq?

Di Elijah J. Magnier: @ejmalrai

Tradotto da Alice Censi 

L’Iraq si sta preparando alla grande manifestazione di venerdì 24 gennaio che vedrà la partecipazione di un milione di dimostranti mobilitati dal leader sciita (iracheno) Moqtada al-Sadr. Sarà una dimostrazione di solidarietà a chi sta chiedendo con insistenza il ritiro immediato della coalizione a guida americana e di tutte le truppe straniere presenti nel paese. E’ già tutto predisposto per permettere ai civili, alle famiglie, ai militanti e ai compagni d’armi del comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF) Abu Mahdi al-Muhandes di  sfilare nelle strade per mandare il loro messaggio alle forze  straniere della coalizione guidata dagli Stati Uniti. E’ un messaggio che viene trasmesso in modo pacifico, il primo nel suo genere. Ma difficilmente i messaggi che seguiranno saranno di questo tipo. La coalizione a guida americana se ne andrà dall’Iraq? 

Secondo un ufficiale di alto livello dell’ “Asse della resistenza”, “l’Iran ha giurato di vendicare i suoi ufficiali assassinati all’aeroporto di Baghdad. Sono il generale maggiore Qassem Soleimani, il brigadiere generale Hossein PourJafari, il colonnello Shahroud Mozaffarinia, il maggiore Hadi Taremi e il capitano Vahid Zamanian. L’ attacco è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno. L’Iran non si aspettava certo una  dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti nel momento in cui il presidente Donald Trump stava per iniziare la sua campagna elettorale. E non pensava che gli Stati Uniti valutassero in modo superficiale le conseguenze di un tale atto di guerra. Adesso che ha fatto il punto della situazione e ha  elaborato il lutto, si prepara a fare in modo che l’assassinio dei suoi ufficiali resti a lungo impresso nella memoria degli Stati Uniti”. 

Quali sono le opzioni per le truppe americane in Iraq? Come si porranno gli iracheni nei loro confronti dal momento che stanno per essere considerate forze d’occupazione, definizione che legittima le azioni della resistenza armata contro di loro? Non è che l’Iran si sta preparando ad una “guerra tramite i suoi alleati”? 

Non ci sono molte opzioni: o le truppe degli Stati Uniti restano in Iraq e a questo punto verranno attaccate oppure se ne vanno definitivamente. Non possono assolutamente restare nelle zone controllate dagli sciiti. Potrebbero rimanere per un po’ di tempo nel deserto di al-Anbar, a ovest, nei pressi del confine con la Siria, oppure spostarsi nel Kurdistan iracheno.

 Le basi degli Stati Uniti in Kurdistan non sono immuni da un’ipotetica rappresaglia iraniana. Il bombardamento della base di Ayn al-Assad e di quella di Erbil è un chiaro messaggio mandato dall’Iran a Trump che in Iraq nessuna base è al sicuro. In Kurdistan l’Iran ha amici e alleati e può quindi complicare non poco la vita ai militari americani. 

Qualunque tentativo degli Stati Uniti di separare il Kurdistan da Baghdad scatenerebbe le dure reazioni della Turchia e dell’Iran. Obbligherebbe inoltre Baghdad a interrompere i finanziamenti alla regione e questo creerebbe non pochi problemi dato che Kirkuk, con i suoi ricchi giacimenti petroliferi, è sotto il controllo delle forze governative e non fa più parte del Kurdistan iracheno. 

Tutte le basi militari in Iraq sono divise in due: una parte è sotto il controllo dell’esercito iracheno e l’altra sotto quello delle forze americane. Nel caso in cui le truppe americane vengano  definite formalmente forze di occupazione e si rifiutino di andar via, il primo ministro non avrà altra scelta se non dare ordine alle forze irachene di ritirarsi dalle suddette basi che ospitano anche le truppe statunitensi. Così se la resistenza irachena attaccherà le basi non ci saranno vittime irachene. 

Bisogna aggiungere che oggi per gli Stati Uniti è molto rischioso continuare il loro programma di addestramento. I militari americani possono infatti essere attaccati proprio mentre svolgono questa attività da quegli iracheni che li vorrebbero mandar via. I commilitoni delle brigate 45 e 46, le due brigate attaccate dagli aerei degli Stati Uniti al confine tra Iraq e Siria, e i fedelissimi del comandante Abu Mahdi al-Muhandes, molto probabilmente stanno solo aspettando   l’occasione per colpire i soldati statunitensi. 

Nessuna compagnia petrolifera statunitense inoltre potrebbe restare in Iraq: il personale rischierebbe di diventare oggetto di rapimenti o addirittura potrebbe essere ucciso da iracheni del posto. Nessuno sarebbe in grado di proteggere queste compagnie e a quel punto potrebbero arrivare quelle cinesi ( che hanno già dichiarato di essere pronte a sostituire le compagnie che se ne vogliono andare) al loro posto. Le conseguenze dei loro assassinii mirati si stanno rivelando tragiche per gli Stati Uniti. 

L’Iran ha dato i suoi missili di precisione agli iracheni che non vedono l’ora di vendicare l’uccisione del loro comandante Abu Mahdi al-Muhandes mandando via dalla Mesopotamia gli Stati Uniti. L’Iran sarebbe ben contento di fornire tutti i missili di precisione necessari a riempire completamente i depositi iracheni e di veder aumentare le vittime americane proprio prima della prossima campagna elettorale negli Stati Uniti! Molto difficilmente l’ultimo anno di Trump come presidente finirà senza registrare vittime americane in Iraq e Siria. 

In Siria le truppe americane sono stanziate nei pressi dei giacimenti di petrolio ma i benefici per gli Stati Uniti non sono così rilevanti. Trump ha detto che lui “non ha bisogno del petrolio del Medio Oriente” e con queste parole ha rivelato che la decisione di rimanere lì ha tutto un altro scopo: accontentare Israele. 

Grazie alla presenza statunitense ad al-Tanf e nel nord-est della Siria, Israele può colpire i suoi obbiettivi in Siria violando tra l’altro lo spazio aereo iracheno. Coperto dalla presenza americana, Israele intimidisce, indisturbato, l’Iran e i suoi alleati che esitano a rispondere ai suoi numerosi attacchi (centinaia). Trump avrà mille difficoltà a giustificare le eventuali vittime tra i suoi soldati che si trovano lì con l’ “encomiabile” obbiettivo di rubare il petrolio siriano. La presenza degli Stati Uniti, truppe di occupazione che si stanno impossessando con la forza del petrolio siriano e hanno smesso di combattere l’ISIS, legittima gli attacchi dei siriani e dei loro alleati nei loro confronti. 

In Iraq ogni tentativo di creare disordini nelle strade, di manifestare dando fuoco a uffici e istituzioni governative verrà d’ora in poi contrastato dalla resistenza se risulterà (pare possibile) che dietro le proteste c’è lo zampino degli Stati Uniti. 

Moqtada al-Sadr è quello che guida la resistenza contro la presenza degli Stati Uniti. Viene oggi riconosciuto come il leader e sta raccogliendo intorno a sé tutti i gruppi che hanno combattuto contro l’ISIS in Iraq e in Siria. E’ un ruolo che gli si addice fino a quando però sarà in grado di svolgerlo e di sostenerlo. 

I suoi seguaci sono capaci di creare seri problemi alle truppe statunitensi. Washington è ben al corrente della lunga esperienza di Moqtada al-Sadr nella lotta agli Stati Uniti. Se lui dovesse avere delle esitazioni, emergeranno altri leader. Gli alleati dell’Iraq che fanno parte dell’”Asse della Resistenza” sono anch’essi presenti in Iraq, pronti a dare una mano. Non ci vorrà molto prima che gli Stati Uniti capiscano i guai che hanno  combinato con i loro criminali assassinii mirati, le violazioni della sovranità irachena e la loro virtuale dichiarazione di guerra all’Iran. 

Adesso le carte sono scoperte. Trump e l’Iran stanno combattendo una guerra mai dichiarata. Le truppe degli Stati Uniti si trovano su un terreno che l’Iran e i suoi alleati conoscono molto bene, un terreno su cui possono muoversi più liberamente di loro. L’Iraq e in seconda battuta la Siria sono stati scelti come campi di battaglia.

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