
Di Elijah J. Magnier
Tradotto da A.C.
Nell’ultimo decennio gli Stati Uniti, Israele e i loro alleati hanno esplorato tutte le vie possibili per cercare di sottomettere l’Iran al loro volere e indebolire o addirittura abbattere la “Repubblica Islamica” e per parecchi anni hanno anche tentato di cambiarne il regime politico. La guerra contro la Siria (uno degli alleati strategici dell’Iran), il tentativo di dividere l’Iraq, la guerra contro Hezbollah, l’appoggio ad al-Qaeda in Siria, l’aver concesso all’ISIS di imperversare indisturbato, gli assassinii e le azioni di sabotaggio, il rigetto dell’ “accordo sul nucleare” e la “massima pressione” sono tutte scelte fatte per raggiungere l’obbiettivo, senz’altro le più dolorose impiegate nel tentativo di sconfiggere l’Iran e i suoi alleati in Medio Oriente. E dopo dieci anni segnati da queste imprese così pericolose e dalle guerre possiamo dire che furono scelte vincenti?
La “massima pressione” esercitata dagli Stati Uniti sull’Iran puntava a ridurre dell’80% le sue entrate dalla vendita del petrolio e riusciva a “privare l’Iran di circa 200 miliardi di dollari in ricavi e investimenti in valuta estera”, ha precisato il presidente Rouhani. I risultati sono stati dolorosissimi per l’Iran e la sua economia, soprattutto durante la lotta alla pandemia da Covid-19. L’attuale amministrazione americana, proprio poche settimane prima dell’insediamento della nuova, ha deciso che tutto il settore finanziario iraniano rappresenta una minaccia e ha obbligato tutte le banche internazionali, quelle europee in particolare, a bloccare qualunque transazione con l’Iran. Ma l’amministrazione Trump non ha mai potuto avere la soddisfazione di assistere al collasso dell’economia iraniana malgrado l’inflazione alta e la disoccupazione.
A maggio e giugno del 2019 gli Stati Uniti hanno accusato Teheran di aver sabotato sei petroliere nei pressi dello stretto di Hormuz. E il 20 giugno, con un missile anti-aereo a media gittata Khordad-3 di sua produzione, l’Iran ha abbattuto un RQ-4A Global Hawk, uno dei droni americani più sofisticati e costosi, che sorvolava lo spazio aereo iraniano. Trump parlava di una possibile ritorsione militare che però poi sosteneva di aver annullato all’ultimo minuto. L’Iran aveva mandato infatti un messaggio agli Stati Uniti tramite l’ambasciata svizzera a Teheran in cui comunicava che non avrebbe tollerato un attacco sul suo territorio e se fosse avvenuto avrebbe reagitoimmediatamente contro le basi militari degli Stati Uniti disseminate in tutta la regione.
Ma il presidente Trump si lanciava nell’impresa di assassinare il leader dell’ “Asse della Resistenza”, il brigadiere generale iraniano Qassem Soleimani che per dieci anni aveva guidato la lotta allo “Stato Islamico” (l’ISIS) in Libano, Siria e Iraq. Un attacco durissimo all’Iran che lo ha spinto a rispondere con un lancio di decine di missili di precisione contro la base più grande che gli Stati Uniti hanno in Iraq. E così Trump ha corso il rischio di far scoppiare una guerra che avrebbe procurato danni immensi ad entrambe le parti, vittime tra i soldati americani e messo decisamente in forse la sua vittoria alle elezioni presidenziali (era convinto della sconfitta del candidato democratico). Si sa che è facile per gli Stati Uniti dare il via ad una guerra ma di sicuro non sarebbe una passeggiata con l’Iran che ha anche una miriade di alleati sparsi in tutto il Medio Oriente pronti ad intervenire nel conflitto. E poi non è certo di competenza degli Stati Uniti porre fine ad una guerra e la loro ultima avventura, l’invasione e occupazione dell’Iraq del 2003, è stata tutt’altro che un successo.
L’Iran pensa che Trump voglia scatenare una guerra contro di lui negli ultimi giorni che gli restano come presidente per acquisire più potere negli Stati Uniti e per mettere in difficoltà il nuovo eletto Joe Biden lasciandogli in eredità una guerra proprio mentre prende in mano le redini del paese. In questo scenario Trump apparirebbe come un presidente forte che risponde alla provocazione dell’Iran di aumentare l’arricchimento dell’uranio al 20%, una violazione dell’accordo sul nucleare già violato però da lui nel 2018 con un ritiro unilaterale. Hillary Clinton ha esortato Trump a non andare in guerra contro l’Iran e Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti, sta portando avanti una campagna per esautorare Trump prima che inizi un’altra guerra o magari lanci una bomba atomica. Esprimono entrambe la stessa preoccupazione del ministro degli esteri iraniano Jawad Zarif che sostiene che Trump stia cercando di “inventarsi una scusa per attaccare l’Iran”.
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